I peccatori

Dopo aver conquistato pubblico e critica con film di grande impatto come Creed e Black Panther, Ryan Coogler firma con “I Peccatori“. Un’opera più personale, stratificata e coraggiosa, che mescola i codici dell’horror con riflessioni sociopolitiche e spirituali. Il film segna il ritorno del regista a un racconto più intimo e al contempo simbolico, dove la religione, la musica, la razza e il trauma si intrecciano con il soprannaturale.

Due fratelli, un male antico

Nel cuore del Delta del Mississippi, nel 1932, i fratelli gemelli Elijah ed Elias – meglio conosciuti come Smoke e Stack – fanno ritorno nella loro città natale. Dopo anni trascorsi tra le strade di Chicago, hanno l’intenzione di aprire un juke joint e lasciarsi alle spalle il passato. Si ritrovano, cos’, immersi in una comunità segnata da tensioni razziali, ricordi sopiti e presenze oscure.​

Ad affiancarli in questa nuova impresa c’è il loro giovane cugino Sammie Moore, un prodigioso chitarrista blues e figlio di un predicatore. Mentre i tre cercano di costruire un futuro migliore, si trovano a confrontarsi con figure del passato e nuove minacce. Mary, l’amore perduto di Stack, ora sposata con un uomo facoltoso. Annie, una praticante hoodoo e vecchia fiamma di Smoke, ancora segnata dalla perdita della loro figlia. Remmick, un enigmatico cantante country la cui presenza porta con sé un’oscura maledizione.​

Interpretazioni da ricordare

Nei panni di Smoke e Stack, Michael B. Jordan offre una prova attoriale imponente. L’attore si mostra capace di distinguere con grande chiarezza due personalità opposte ma legate da un affetto profondo e da un destino condiviso. Smoke è istintivo, inquieto, più connesso alle energie oscure che attraversano la storia. Stack, invece, è razionale, misurato, guidato dal desiderio di redenzione. Jordan riesce a infondere a entrambi una forte carica emotiva e un’intelligenza fisica che non si limita alla differenziazione estetica, ma scava nella psicologia dei personaggi.

Accanto a lui, spicca Wunmi Mosaku, potente nel ruolo di Annie. La sua interpretazione unisce vulnerabilità e forza, ed è forse la presenza più magnetica del film. Hailee Steinfeld dona al personaggio di Mary un’ambiguità seducente. Miles Caton, nel ruolo del giovane Preacher Boy, riesce a farsi notare per l’intensità e la dolcezza.

Una visione che colpisce anche negli eccessi

Visivamente, “I Peccatori” è un film straordinario. La fotografia di Autumn Durald Arkapaw, pensata per l’IMAX, alterna con maestria l’intimità dei luoghi chiusi alla vastità dei paesaggi rurali, con campi di cotone che si estendono all’infinito, dominando figure umane piccole e impotenti. La produzione design di Hannah Beachler e i costumi di Ruth E. Carter ricostruiscono gli anni ‘20 con precisione e creatività, rendendo l’ambientazione viva, stratificata, concreta.

Le scene sono spesso caricate di simbolismi visivi: il fumo delle candele che accompagna il ritorno di Smoke, le inquadrature spezzate da tendaggi, gli specchi che riflettono identità sdoppiate. Gli effetti visivi di Michael Ralla e il trucco prostetico di Michael Fontaine spingono l’estetica pulp al massimo senza mai cedere al kitsch.

La colonna sonora di Ludwig Göransson è l’anima pulsante del film: mescola blues, gospel, orchestrazioni dense e momenti acustici con chitarra, creando un tappeto sonoro che amplifica le tensioni, accompagna i silenzi e definisce i momenti più struggenti. Il brano originale I Lied to You, scritto con Raphael Saadiq, è destinato a lasciare il segno.

Un horror simbolico che parla di razza, fede e identità

Attraverso il linguaggio dell’horror e la narrazione gotica del Sud, Coogler affronta temi profondi: la sopravvivenza, il razzismo sistemico, la spiritualità afroamericana, l’idea di peccato e redenzione. Il mostro di turno diventa metafora di una violenza che si ripete da generazioni, camuffata da buone intenzioni e radicata nella storia. L’invito a “ballare con il diavolo” non è solo una minaccia narrativa, ma un monito morale. In questo universo narrativo, persino gli elementi folklorici assumono una valenza politica e culturale: il juke joint come luogo di libertà e autodeterminazione, l’hoodoo come scienza antica che resiste all’oblio, la musica come mezzo di salvezza ma anche di condanna.

Una struttura che sfida, ma conquista

I Peccatori” è un film che rischia molto, anche a livello strutturale. L’abbondanza di personaggi, sottotrame e registri narrativi (dal melodramma al thriller, passando per il fantastico) potrebbe farlo sembrare, a tratti, troppo denso. Eppure, grazie al montaggio fluido e all’intelligenza della scrittura, il film riesce a tenere insieme le sue parti, arrivando nella seconda metà a una coesione emotiva sorprendente.

Il continuo cambio di tono – tra ironia, romanticismo tragico, horror puro e momenti di lirismo – può disorientare, ma alla fine contribuisce a dare corpo a un’opera che è tanto sperimentale quanto accessibile. E se alcune scene sembrano eccessive o ridondanti, è proprio nell’eccesso che I Peccatori trova il suo respiro più autentico: quello del cinema che osa, che sporca, che sbaglia e affascina.

Conclusione: un affresco gotico americano

Pur con qualche sbavatura e un’ambizione che talvolta eccede, “I Peccatori” è una delle esperienze cinematografiche più audaci dell’anno. Una storia nera nel senso più profondo e spirituale del termine, dove l’inferno può essere un ricordo, una canzone o un bacio mancato – e dove, alla fine, la redenzione è solo per chi ha davvero il coraggio di guardarsi dentro.

Prodotto da Proximity Media e distribuito da Warner Bros. Pictures, “I Peccatori” arriva nelle sale italiane il 17 aprile.

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