Solito Dandy

Dopo “Turismo Sentimentale”, lo scorso 29 aprile, è uscito il nuovo brano di Fabrizio Longobardi, in arte “Il Solito Dandy”: “Irresistibile”. Classe ’93, l’artista torinese è reduce dall’esperienza di X-Factor 2023. Ha conquistato il cuore del pubblico con la sua prestanza scenica e le sue canzoni sono un mix tra cantautorato vecchio stampo e modernità.
Conosciamo un po’ meglio questo artista eclettico attraverso le sue parole.

Sei a tutti gli effetti quello che potremmo definire un’esteta. Dal tuo nome d’arte, alle scenografie dei tuoi videoclip, alla tua stessa musica e prestanza scenica, c’è una qualche ispirazione artistica pittorica o letteraria nella tua musica che poi devolve in altri punti di vista?

«Sicuramente tante, tante cose e dovrei andare a vedere proprio quello che mi ha colpito nella vita. Quindi partiamo dal cinema d’animazione, come ad esempio, tantissimo “Fantasia” di Walt Disney. Quando diventi adulto riscopri le cose che effettivamente ti hanno condizionato, perché arriva quel momento della vita dove vuoi fare il figo e dire delle cose sofisticate, ma alla fine il tuo background è quello.
Quindi, Walt Disney è sicuramente che mi ha proprio colpito esteticamente e mi ha dato quella scossa lì. Nell’adolescenza, tanto Tim Burton, ma anche solo il cinema di Jodorowsky con la sua poetica da un po’ più grande. Poi ci sono tantissimi elementi sia a livello pittorico che filmico, tantissimi altri stimoli. Anche perché io sono laureato in cinema quindi ho visto di tutto e di più, come Federico Fellini che penso che sia la mia fonte massima di ispirazione.
A livello di pittorico, io sono cresciuto con mio nonno che era davvero un grande estimatore dell’arte impressionista. Quindi sono cresciuto con in casa l’idea dell’Impressionismo e di questi colori che quasi non avevano forma, ma che effettivamente trasmettevano tantissime emozioni. Mio nonno era tanto tanto patito di Van Gogh. Posso, però, dire che l’evento un po’ segnante a livello pittorico è stato andare a vedere la Pinacoteca Agnelli a Torino e vedere i quadri del Canaletto e quello è stato il mio primo ricordo legato alla pittura.
Ci sono tante influenze e poi, col tempo, ne sono arrivate tante altre. Ci sono tante cose che mi intrigano, mi inspirano. Ultimamente vado a molte più mostre fotografiche, quindi è una roba nuova che sto scoprendo in cui c’è un occhio completamente diverso, quindi mi faccio influenzare da tutto quello che succede».

In  “Irresistibile”, il tuo ultimo singolo, ci sono molteplici richiami al cantautorato italiano come il battito del cuore. Ma ci sono diversi elementi interessanti come l’aragosta, puoi dirci di più su questi aspetti?

«Partendo dalla prima parte della domanda: i richiami al cantautorato. Non è una cosa intenzionale, ma viene in automatico. Mi metto lì, canto queste melodie, canto ciò che mi viene e poi diventano canzoni. Avendo ascoltato tanto, tanto, tanto cantautorato; tanta, tanta musica italiana; e ascoltando tuttora prevalentemente quella; ci sono cose che arrivano e le fai tue. Le rielabori. Tanti hanno detto Umberto Tozzi per quanto riguarda “Irresistibile” e tu dici “si okay, figata”. Non nego di aver ascoltato i suoi brani, l’ho ascoltato e lo ascolto anche parecchio. Quindi sì, diciamo che c’è l’influenza.
Per quanto riguarda la questione del battito del cuore, la cassa dritta in realtà è una roba discussa con Simone Guzzino, il mio produttore. “Il Solito Dandy” siamo io e lui effettivamente. Cioè io faccio il cantautore, scrivo, ma senza Guzzino, tutto questo non ci sarebbe fatto.

Quindi, per quanto volessimo fare i sofisticati, ci siamo resi conto che siamo un po’ tamarri: andiamo a ballare, ci scateniamo. Non è che sono il cantautore che se ne sta a casa con la chitarra e guarda le poesie, sono uno che si butta, va a ballare, va a fare il pazzo in giro e quindi forse questa roba si riversa anche nella musica. Poi in un brano come “Irresistibile” è stato tutto molto spontaneo, molto diretto.
Per quanto riguarda l’aragosta, era un personaggio che apparteneva già a quella che era la mitologia di “Turismo Sentimentale” ed è ritornata con X-Factor completamente a caso. Perché è successa?
Perché mi ero portato dietro questa aragosta per giocare e poi è diventata un nuovo simbolo. Per questo brano, mi sono detto che sarebbe stato bello farla tornare, però, volevo tirar fuori la sua veste umana. Dall’aspetto mitologico a questa donna aragosta che effettivamente non abbiamo mai visto incarnata, ma sempre rappresentata con delle vesti un po’ teatrali. Quindi in quell’ambiente surreale mi è piaciuto anche smascherarla, far capire che effettivamente dietro il personaggio esiste la persona».

Parlando dei live, come riesci a creare una sinergia con la band che ti accompagna?

«Non me lo sono mai chiesta quella cosa. Con Simone Guzzino abbiamo vissuto assieme per sei anni e quindi capisci che ad un certo punto vivi prima nella stessa camera, poi in camera separate, si crea quella sinergia a livello umano.
In ogni caso… non lo so, anche con la band è proprio una questione che scatta a livello umano. Penso che tutto nasca dal fatto che ci piace quello che stiamo facendo e se ti stai divertendo tutto diviene naturale.
Soprattutto sulla questione live non mi è mai piaciuta l’idea di avere la band dietro e l’artista davanti. Ho sempre detto: “cavolo raga, facciamo un live tutti insieme“. Non mi è mai importato di quest’idea dell’idolo che si fa vedere lontanissimo e irraggiungibile. Se ci divertiamo tutti, ci divertiamo da quello che sta sotto palco, a quello che sta sopra, a quello che sta dall’altra parte.
Quindi anche il rapporto con la band è quello, cioè siamo amici».

Da “Turismo sentimentale” a “Irresistibile”; in un certo senso continua la tua “rivoluzione gentile”. Questi aspetti si possono quasi legare, non tanto a livello etimologico, quanto più sotto l’aspetto filosofico. Del resto, la meraviglia con cui guardiamo il mondo, quindi con cui “esploriamo”, ci può aiutare a comprendere anche gli altri e ad essere un po’ più gentili.
Ci sono degli elementi in comune tra il tuo primo album, il tuo nuovo brano e questo concetto di rivoluzione gentile?

«”Turismo sentimentale” è stato il mio disco romano, quello di un ragazzo di Torino che è andato a vivere a Roma che aveva la possibilità di sapersi meravigliare della vita nella Capitale. Questa città mi ha insegnato la meraviglia e a sorprendermi del quotidiano. Una cosa che oggi, col fatto che abbiamo tutti i telefoni in mano, ci sembra molto più incredibile. Guardiamo quello che abbiamo sul telefono, quando la realtà quotidiana è una cosa pazzesca. Quando osservi le persone e sembra di essere in un film, ma è il film che ovviamente è fatto con le persone. La città di Roma ti dà davvero la possibilità di esplorare la meraviglia.
Quindi, qual è l’unico modo per disinnescare questo malessere dato dalla costante presenza del telefono?
Inventare turisti sentimentale e, in qualche maniera, vivere la vita effettivamente come la fanno i turisti. Così, ogni cosa, anche solo un dettaglio di una casa, diventa una scoperta. Diventare turista della tua città, della tua vita, ma anche della tua attualità, del tuo aspetto contemporaneo, anche della tua routine ti fa attivare una curiosità incredibile nei confronti della vita. Una sorpresa costante che è alla base dell’idea dietro il primo disco.
Per quanto riguarda la rivoluzione gentile, in realtà, e solo l’idea di comprensione e solidarietà, di capire che dietro una persona arrabbiata probabilmente non c’è cattiveria, ma solo una giornata storta. Il concetto di “rivoluzione gentile” si declina nel semplice comportarsi con gentilezza verso il prossimo, perché probabilmente è molto più importante l’amore che dai che è quello che ricevi. Certe volte non ci si rende conto che magari se ci fosse più gentilezza il mondo diventerebbe un posto incredibile. Quindi, chi magari si comporta in maniera sgarbata non sta bene e non è che gli si può augurare il male; anche perché più sta male, più fa cose peggiori».

Non parlare di X-Factor è impossibile e sicuramente ricorrente, ma ti voglio chiedere degli aneddoti su questa esperienza, belli o brutti che siano.

«Aneddoti belli, aneddoti brutti… ma io mi ricordo di tutte cose belle. Nel senso che io guardo quella esperienza lì, dopo che sono passati circa cinque o sei mesi, e vedo solo un periodo tanto felice della mia vita, tanto libero, ed è la stessa sensazione che percepisco confrontandomi anche con quelli che hanno partecipato a questa grande avventura.
Ci sono state delle cose belle e, ovviamente, una convivenza difficile perchè quando in un certo senso vuoi anche uscire. Ne parlavamo anche con la redazione, perché poi rimani amico con tutti, e ci siamo detti “vedi quando dicevate che ve ne volevate andare? Com’è che adesso volete tutti ritornare?”. Il che è verissimo perché siamo stati bene, siamo stati liberi. Io proprio ho staccato tutto il filtro paure, mi son liberato ed è stato pazzesco. Quindi è quasi impossibile parlarti dell’esperienze brutte, ma sì, ci sono state delle cretinate che potevano nascere dalla pulizia nel loft, ma di certo non ti porti questi ricordi da questa esperienza».

Com’è la convivenza tra “Il Solito Dandy” e Fabrizio?

«Ah, non esiste differenza. Nonostante anche questa sia una domanda ricorrente, non c’è una differenza tra personaggio e Fabrizio. Okay la vita privata, ma le due cose coincidono parecchio. Non so se sia una cosa positiva o meno, però – come dicevo prima – non mi piace l’idea dell’essere un divo. Davvero parli come mangi e per quanto mi riguarda è proprio quello nel senso. Che devo fare? Una recita forse? No!
Sto bene così, quindi Fabrizio e il Solito Dandy sono la stessa cosa. Di conseguenza la domanda diventa come convivo con me stesso. Beh, non lo so. C’è un condominio di emozioni, di persone che si muovono qua dentro nell’arco di una giornata. Si alternano a seconda di una determinata emozioni ed è una cosa figa, è una cosa divertente».

Allora, la domanda può diventare: come riesci a convivere appunto con le tue stesse paure, specie se c’è quella del palco?

«Allora su ste cose c’è il mio manager Giacomo che mi dice: “guarda se in amore fossi anche solo un minimo come quello che sei sul palco, come quello che sei quando fai musica, quando fai arte, probabilmente non so cosa succederebbe”. Gli ho risposto che questa cosa è bellissima; perché effettivamente quando suono, quando faccio quella roba, mi sento liberissimo ed è una cosa pazzesca. Comunque, quando arrivi a dei live importanti ti sei già un po’ preparato. Non sai cosa succederà, però ti prepari. Vado a correre per lavorare sul fiato, perché mi muovo tantissimo, faccio le prove di canto per allenare la voce. Quindi salgo sul palco dopo effettivo un allenamento. Non è come fare l’esame a scuola che, magari, ti crea della tensione; qua, è una figata. Stai facendo una roba bellissima e quindi effettivamente quella paura del palco non c’è l’ho, ma magari non ci sono altri tipi di tensione. Ad esempio, la tensione dell’ignoto. È  una fortuna avere quella tensioncina lì, per fortuna esistono ancora questi brividi; se no… cavolo, sappiamo tutto come va e tutto diventa piatto. Non c’è cosa peggiore di non provare nulla ed è della malattia dei nostri tempi il non provare nulla. Quindi è fondamentale provare paura o entusiasmo. È necessario trovare qualcosa di bello per provare quelle emozioni, perché altrimenti vuol dire che c’è qualcosa che non va».

Se non conoscevate la musica di Il Solito Dandy, noi vi consigliamo di recuperare i suoi brani, in attesa di nuove uscite. Siamo sicuri che il suo sound coinvolgente rapirà anche i vostri cuori. La nostra redazione, infatti, non vede l’ora di vivere il suo live romano, in occasione della serata conclusiva di Spaghetti Unplugged di domenica 26 maggio.

di Lapizia

Guardo troppi film e parlo troppo velocemente, ma ho anche dei difetti!

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