Bentornati alla rubrica del Cultedì! Dove invece delle classiche recensioni di film in uscita, troverete consigli sui grandi film cult degni di tale nomea, che hanno segnato la storia del Cinema. Perciò, rilassatevi, prendete in mano la vostra tazza starbucks, mettete da parte la vostra saponetta, perché oggi parliamo di Fight Club!
![Cultedì: "Fight Club"](https://i0.wp.com/www.lapiziaviewsmagazine.it/wp-content/uploads/2024/11/copertine-articoli-98.png?resize=640%2C336&ssl=1)
Fincher, e la sua unica regola che abbiamo infranto!
Era il lontano 1999, quando nelle sale arrivò Fight Club. Quarto film del cineasta americano, noto allora per The Game: nessuna regola (1997) e Seven (1995). Ancora non potevamo saperlo, ma quel film avrebbe poi segnato le nostre esistenze cinefile per sempre. Eh, sì: perché per molti esiste un prima e un dopo la visione di Fight Club. Pochi film possono privilegiarsi di essere stati per la società veri e propri profeti del contesto e del costrutto sociale.
Opera basata sull’opera letteraria ominima di Chuck Palahniuk del 1996. Fight Club resta un vero e proprio manifesto della crisi identitaria dell’uomo pronto a salutare il vecchio millennio. Figlio di una società pronta ad affrontare una personale e vera rivoluzione ontologica. La pellicola di Fincher ci mette subito nella condizione del suo protagonista, il suo Narratore, il quale non necessita neanche un nome. Una mancanza che porta il Narratore, Edward Norton, successivamente a rapportarsi con un’identità altra da lui, più forte, liberata dall’insicurezze, impavido: Tyler Durden, Brad Pitt. L’incontro tra i due personaggi genererà il Fight Club: luogo in cui le regole non esistono, se non una, ovvero: non parlare del Fight Club. Un luogo in cui vige una segretezza che sconfina nell’illegalità e nella brutalità insita nell’uomo. Una liberazione dalla sue catene trovando libero sfogo nel luogo prescelto dal Narratore e da Tyler Durden.
Qui il pubblico capisce che ciò che in realtà accade all’interno del Fight Club si ripercuote nel mondo reale. I due protagonisti dell’opera di Fincher, in questo modo, sono a stretto contatto con la morte, con la vita, con il piacere e con il dolore. Ciò che dà loro potenza sembra derivare proprio da quel luogo in cui tutto è lecito. Combattere, organizzare sommosse, abbattere il capitalismo e il suo derivante consumismo della gente.
Ma da dove nasce tutto ciò?
Il Narratore a inizio film mette in chiaro il suo malessere dato dal contesto nel quale egli vive. Una condizione che lo porta a non dormire, volto a fare-dimostrare sempre qualcosa in più. L’insomnia che lo colpisce gli fa conoscere proprio Tyler Durden. Il quale, “schiavo dell’apparenze”, prende per mano il Narratore e lo trascina nel suo mondo, il mondo per l’appunto del Fight Club.
![Cultedì: "Fight Club"](https://i0.wp.com/www.lapiziaviewsmagazine.it/wp-content/uploads/2024/11/copertine-articoli-100.png?resize=640%2C336&ssl=1)
L’attualità di Tyler Durden
Ancora oggi, dopo ormai 25 anni dalla sua uscita, il film con Edward Norton e Brad Pitt, che solo due anni prima aveva collaborato con David Fincher a Seven, resta attuale più che mai. Impossibile non accostare la costante sensazione di disagio che il protagonista vive, a quella che oggigiorno serpeggia tra di noi. Un disagio partorito da una società che ci chiede sempre di più, che si aspetta sempre qualcosa da noi, e che sembra non darci nulla in cambio. Il nostro sforzo, per alcuni vano, a voler dimostare a tutti i costi il nostro talento a persone che stanno al di sopra di noi, ci relega in una crisalide dalla quale non sembra esserci via di fuga, dalla quale un metamorfosi sembra una chimera.
Questa fuga però ci è resa possibile grazie proprio a Tyler Durden. Vero simbolo di liberazione del Narratore da quelle catene ormai arrugginite da troppo tempo. Ma troppa libertà non è mai un bene, poiché sarà propria questa sua eccessiva libertà a portare il Narratore a disconoscersi completamente, distaccandolo dalla sua realtà. Egli non sarà più in grado di distinguere ciò che è vero, ciò che può farlo perire tra atroci sofferenze, come uno sparo di pistola o come dell’acido versato sulla sua mano. Ma al contempo, come già anticipato soprastante, il Narratore, sarà sempre meno consapevole dell’affetto che lo circonda, che nella pellicola di David Fincher è incarnato dalla magistrale Helena Bonham Carter che regala al mondo la brillante e unica Marla Singer.
![Cultedì: "Fight Club"](https://i0.wp.com/www.lapiziaviewsmagazine.it/wp-content/uploads/2024/11/copertine-articoli-99.png?resize=640%2C336&ssl=1)
Un presente inquientante
Fincher nel mostrarci il mondo occidentale che vive il Narratore, alias noi stessi spettatori, ci fa immergere in un torrido torrente dal quale uscirne puliti e profumati è pressoché impossibile. Tutto è confezionato, catalogato e omogeneo. Il consumismo descritto dalla penna di Chuck Palahniuk è più vivo che mai. E come scena emblematica di Fight Club non potevamo non scegliere il finale che David Fincher sceglie di mostrare e di regalarci.
Il Narratore, dopo aver scoperto la cruda verità e dopo aver ucciso il cancro che lo stavo divorando da dentro, guarda davanti a sé il risultato della sua stessa opera. Tiene per mano la sua compagna davanti a un mondo che crolla e fiamme che divampano. Però affiora una speranza, una certezza, quale? Quella che alla fine, non si è mai soli.
In sottofondo noi spettatori sentiamo l’iconica “Where is my mind” dei Pixies che rispecchiano in toto la filosofia fincheriana del film. “Dove siamo? Dov’è il confine tra razionale e irrazionale?”
Se il Narratore, inizialmente è soggiogato da un nichilismo passivo che lo rende inerme e indifferente, tutto ciò cambia nel momento in cui egli stesso diventa il creatore del suo stesso mondo. L’unica fine certa è la sua stessa distruzione.
Quasi come se quell’ormai vecchio modo di pensare e di organizzare la vita sia vecchio, sappia di rancido e debba essere per forza messo da parte, per far posto a qualcosa di nuovo, di più profumato di una classica saponetta, e soprattutto di più vero. Ecco la potenza di Fight Cub. Un film che chiama a sé lo spettatore, lo interroga e alla fine gli dice che sì, dalle macerie può comunque restare qualcosa, un qualcosa di vero e tangibile. E sebbene il Fight Club abbia un’unica regola, noi sappiamo che le (o meglio alcune) regole sono nate per essere infrante.