Bentornati a Cultedì! La rubrica dove andremo a riscoprire i grandi capolavori e capisaldi della storia del Cinema. Quello che leggerete non sarà una vera e propria critica all’opera, piuttosto un caloroso invito a recuperarne la visione, e/o a rivederla. Fatte le doverese premesse, iniziamo esplorando il mondo di Amélie!
Vi capita mai di osservarvi da fuori e restare interdetti nel scoprirvi sciocchi, goffi, ingenui? Specie nel momento in cui venite catapultati in una situazione fuori dall’ordinario? Per quanto arzigogolata può sembrare la domanda, è lecito pensare che la risposta sia perlopiù positiva nella maggior parte di voi, cari lettori. A favor di questo potrebbe sorgere un’ulteriore domanda, ovvero: qual è il motivo per cui vi abbiamo posto la prima domanda?
Un motivo concreto, a dire il vero, non c’è. Ma il nostro desiderio è offrirvi l’occasione di guardarvi da fuori, anche solo per un istante. Osservare il mondo circostante mutare al vostro camminare e pensare. È proprio ciò che accade alla protagonista del film cult di oggi: Amélie Poulain, de Il favoloso mondo di Amélie di Jean-Pierre Jeunet (2001).
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Quando essere fragili può essere un pregio
Il celebre film del 2001 che ha portato alla ribalta la brillante Audrey Tautou, più che perfetta nel ruolo della protagonista, ha come peculiarità quella di dare lustro e spolvero alla fragile condizione della sua protagonista, che per quanto ingenua, goffa, innocente possa sembrare a primo acchitto, cela un animo a dir poco sorprendente ed affasinante per chi la incontra per strada e per chi la vede sullo schermo.
Dopo aver perso in giovane età la madre, la piccola Amélie si ritrova a crescere con un padre che non è mai riuscito a superare definitivamente la perdita della moglie, freddo e distaccato dalla figlia. Amélie così cresce in un mondo dove la frenesia, l’ansia e l’impazienza sono abitano gli animi di una Parigi di fine anni novanta. Ma fortunatamente tali condizioni non riescono a scolpire il modo di vivere la vita di Amélie, che è fatta di piccoli piaceri, come: immergere la mano in un sacco di legumi, spezzare la crosta della crème brûlée, andare al cinema e voltarsi per guardare le facce degli spettatori o far rimbalzare i sassi nel canale San Martin…Amélie ha in serbo un dono unico, quello di scoprire la vita man mano che va avanti, senza dover essere afflitta dalla società diventa ormai per tutti, quasi, fagocitante.
Una sera però, la vita di Amélie cambierà per sempre. La sera in cui la morte di Lady Diana sarà su tutte le tv del mondo, Amélie scopre dietro la piastrella di un muro di casa sua una scatola contenente oggetti alquanto comuni e bizzarri. Amélie sceglie di scoprire il possessore della scatola per potergliela restituire, e nel raggiungere l’obiettivo scopre come i piccoli gesti possono svoltare e migliorare la vita di chi ci circonda, portando una nuova forma di felicità e serenità.
Dunque, la fragilità della protagonista diventa un suo punto di forza. Un modo per uscire dalla comfort zone. Esplorando, in questo modo, nuovi terreni emotivi e relazionali, scoprendo l’amore e l’interesse verso l’altro. Elemento impersonato dal celebre Mathieu Kassovitz. Quest’ultimo viene completamente rapito dalla protagonista, dimostrando di non bastare a loro stessi, ma di aver bisogno l’una dell’altro.
![Amélie](https://i0.wp.com/www.lapiziaviewsmagazine.it/wp-content/uploads/2024/11/copertine-articoli-7-6.png?resize=640%2C336&ssl=1)
Un elogio ai piccoli gesti
Jean-Pierre Jeunet nel mettere in scena il film che lo ha portato sull’Olimpo del Cinema, ha saputo saggiamente puntare tutto sul volto e sullo sguardo della sua protagonista, che non desta mai nello spettatore pietà o commiserazione, bensì innesta in chi guarda una certa curiosità nel scoprire il modo di pensare della giovane ragazza, Amélie per l’appunto. Lo spettatore si ritrova a dover decifrare il suo personalissimo modo di Amélie di vedere ed affrontare il mondo. Per quanto semplice sia il messaggio che il film pone allo spettatore, è più importante la domanda che il film stesso pone in colui che lo guarda: quante volte abbiamo dato importanza ai piccoli gesti che abbiamo fatto o che abbiamo ricevuto?
Il nostro egocentrismo ci pone perlopiù in difetto e nel torto, poiché incosapevolmente e magari tavolta anche in buona fede diamo per scontato il bene che regaliamo e che ci ritorna, e invece poniamo tutta la nostra attenzione verso la sofferenza e il tanto temuto fallimento che imperversa su di noi. Si dà il caso che esso è un nostro limite, una barriera di vetro che ci poniamo tra noi stessi e gli altri. Ecco, forse, Il favoloso mondo di Amélie vuol rompere quel vetro, interrogandoci su ciò che possiamo fare o che abbiamo già fatto.
Il nostro agire si riflette in quello di Amélie nel corso del film: un flusso costante di movimenti. Come una mano che scorre veloce su una tastiera di pianoforte. Come aiutare un anziano cieco ad attraversare la strada, descrivendogli i dettagli visivi e sonori della città che potrebbe essersi perso. Oppure una pennellata delicata su una tela, o portare un vassoio con due tazze di caffè nel bar in cui lavora, scambiando qualche battuta con i colleghi. Il favoloso mondo di Amélie rimane un punto di svolta per chi lo guarda. Non solo per lui, ma anche per noi che, ogni tanto, torniamo a cercarlo. Rivediamo quella ragazza che continua a insegnarci l’importanza dei piccoli piaceri della vita.