Cultedì: Jumanji

Bentornati a Cultedì! La rubrica dove andremo a riscoprire i grandi capolavori e capisaldi della storia del Cinema. Quello che leggerete non sarà una vera e propria critica all’opera, piuttosto un caloroso invito a recuperarne la visione, e/o a rivederla.

Fatte le doverese premesse, iniziamo!
Vi è mai capitato di restare talmente vincolati ad un gioco, da non esser più in grado di distinguere il mondo reale da quello ludico? Certamente la vostra risposta sarà sì, non vi è alcun dubbio… Ma se vi chiedessimo invece: vi è mai capito di finire letteralmente dentro un gioco? No?! Beh, purtroppo è quello che è capitato al piccolo Alan Parrish (Robin Williams/Adam Hann-Byrd) giocando insieme alla sua amica Sara Whittle (Bonnie Hunt/Laura Bell Bundy). Proprio a pochi minuti dall’inizio della partita al gioco da tavolo (maledetto) Jumanji!

Sì, nel cultedì di oggi parliamo proprio del cult per eccellenza per ragazzi uscito proprio a metà degli anni novanta. Perciò mano ai dadi, la nostra, vostra, unica speranza lo sappiamo, lo sapete: è finire la partita. Contiamo le caselle e che nessuno bari, mi raccomando. Altrimenti lo sapete che vi accade no?! Il piccolo Peter Shepherd (Bradley Pierce) ne sa qualcosa…

Cultedì: Jumanji

Mai interrompere una partita!

Siamo nel New England del 1969, quando il giovane adolescente Alan Parrish viene attirato da un strano rumore di tamburi. Non dovrebbe trovarsi in quel cantiere, ma è appena scappato da un gruppo di bulli. Lì scoprirà, nel cuore del sottosuolo, un gioco da tavola, lasciato lì al sicuro ben cent’anni prima, molto particolare: Jumanji.
La sera stessa, dopo aver litigato pesantemente con il padre (Jonathan Hyde), il piccolo Alan chiama a casa sua l’amica Sara. Per potersi distrarre dalla discussione, le propone di giocare proprio al nuovo gioco da tavola. All’inizio sembra facile, seppur bizzarro: ci sono delle avvertenze, le pedine si muovono da sole e al centro del tabellone c’è una capsula di cristallo verde su cui compaiono delle rime. All’arrivo del lancio di dadi di Alan le cose diventano pericolose. Il numero sul dato lo farà letteralmente catapultare nelle giungla nera di Jumanjii, dove vi resterà per ben ventisei anni.

Ventisei anni dopo, la villa dei Parrish viene comprata da Nora Shepherd. La perfetta dimora per lei e i suoi nipoti Judy (Kirsten Dunst) e Peter, orfani in seguito ad un incidente dei genitori. Così come lo era stato con Alan, il gioco necessita di nuovi giocatori, di nuove vittime. E una mattina, Judy e Peter vengono richiamati dal suono di tamburi proveniente dalla soffitta…ed è lì che trovano il gioco di Jumanji. Aprendolo trovano che alcune pedine sono già in posizione, ma non se ne preoccupano inizialmente. Così dopo aver scelto le loro iniziano a giocare.
Sarà proprio il tiro di Peter a riportare sulla Terra l’Alan Parrish ormai adulto (Robin Williams) che non crederà ai suoi stessi occhi. Una volta tornato però Alan capisce che tutto il mondo che conosceva da ragazzo è cambiato. Nulla di quello che aveva c’è più, e tutto per colpa di Jumanji!
Alan, Judy e Peter capiscono che la partita non è affatto finita. Quindi, per far ritornare tutto com’era dovranno lottare per arrivare fino all’ultima casella e gridare il nome del gioco. Solo allora la partita sarà finita per davvero. Ma all’appello manca l’ultima giocatrice, Sara. E spetterà ad Alan l’ardua impresa di convincerla a tornare a giocare.

Cultedì: Jumanji

Il gioco è bello finché dura poco!

Joe Johnston nel 1995 porta al cinema quello che diventerà un cult per ragazzi Jumanji. A fare da protagonista è lo stesso Robin Williams e porta lo spettatore a vivere con lui la partita più lunga del secolo. Jumanji è invecchiato negli effetti speciali, ma non smette di terrorizzare e divertire ogni volta che lo si vede.

La classica avventura del gioco tavola assume nuova vita con il film di Johnston. Il regista realizza il sogno di molti giocatori: abitare nel mondo del proprio gioco preferito o non, sì insomma… di viverlo a 360 gradi. L’unico lato che ci ferma dal voler abitare in quel particolare gioco è la presa di consapevolezza riguardo tutti i pericoli. Finendo col realizzare che, forse, il mondo reale era meglio. Nel film troviamo una giovanissima Kirsten Dunst, che ancora non era abituata all’amichevole Spiderman di quartiere. Nella sua interpretazione troviamo il perfetto equilibrio tra meraviglia, stupore, avventura e terrore.

A cosa si deve tale successo? Secondo noi, la scelta vincente è quella di non mostrare affatto la giungla di Jumanji, ma sull’impatto che il gioco ha sul nostro mondo.
Il regista riesce a catapultarci in una vera e propria odissea. Alan, così, diventa l’Ulisse che, insieme alla sua ciurma, deve ammainare le proprie vele per riuscire a tornare a casa. Si combatto coccodrilli, scimmie impazzite, ragni giganti e zanzare assassine, con lo scopo di tornare alla propria epoca!

Cultedì: Jumanji

Alea iacta est

Robin Williams porta e acquista con Jumanji un rafforzamento del proprio rapporto con il pubblico. Lo spettatore era già abituato alla vista dell’attore conferendogli il posto di un amico, un parente, insomma sì: uno di famiglia.
Lo sguardo dell’avventura vive e risplende negli occhi azzurri del genio di Williams, così come la sua comicità che qui lascia spazio il più delle volte all’azione e alla storia dietro il gioco stesso. Ciò che è lecito ricordare è che le nostre scelte possono o non essere irreversibili. Così come quelle che facciamo durante la partita di Jumanji, dove è il gioco stesso ci avverte: non cominciate il gioco se non avete intenzione di finirloogni cosa tornerà al suo posto al termine della partita.
Un’avvertenza e una promessa che non fanno che alimentare la nostra curiosità da giocatori/spettatori. Perché in fondo, ognuno di noi inizierebbe una partita… no?! Nessuno vede della malvagità, dei disastri incombenti al mero gesto di lanciare una coppia di dadi. Eppure, alea iacta est. E forse, è anche vero al contempo che grazie al buon Alan Parrish, abbiamo imparato che alla fine certi giochi trovati nel sottosuolo, meritano di restarci lì in eterno. Ma dopotutto, che cosa sarebbe la vita senza qualche rischio… alla peggio confidiamo in un cinque o in un otto al prossimo tiro.

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