Cultedì: Spirit - Cavallo selvaggio

Bentornati a Cultedì! La rubrica dove andremo a riscoprire i grandi capolavori e capisaldi della storia del Cinema. Quello che leggerete non sarà una vera e propria critica all’opera, piuttosto un caloroso invito a recuperarne la visione, e/o a rivederla. Fatte le doverese premesse, iniziamo!

Il termine animazione, nell’ambiente cinefilo, è spesso in prima battuta legato ad unico nome e logo: ossia Disney. Proprio perché la casa del topo è stata la via iniziale e maestra che poi tutte le altre case di animazione nascenti hanno inseguito. Eppure, talvolta, ci si stupisce, inutilmente se certi film d’animazione riescono a scavalcare (per bellezza ed emozioni provate) la casa fondata dal vecchio zio Walt. Di certo, uno dei più grandi film che è riuscito a superare casa Disney è stato il capolavoro firmato DreamworksSpirit: cavallo selvaggio!

Cultedì: Spirit - Cavallo selvaggio

Una storia scritta in sella ad un cavallo…

Ci fa strano elaborare il fatto che il capolavoro del 2002 di Kelly Asbury e Lorna Cook abbia come protagonista un cavallo che per tutto il film non emette alcuna parola. Un animale che narra la sua storia attraverso le canzoni, cantate in orginale da Bryan Adams e nella versione italiana da Zucchero. La colonna sonora è una voce pensiero costante. Un unico grido che ineggia alla libertà e alla ricerca di essa dopo che quest’ultima ci può venir tolta, così come è accaduto a Spirit. Ma andiamo con ordine…

America, Far West: gli stalloni mustung sono ancora i padroni delle grandi distese verdi della prateria americana. L’uomo non è che ancora un timido esploratore e aspirante, per quanto brutale, conquistatore di quella natura selvaggia. Fin dalla sua nascita il giovane mustung Spirit dimostra carattere, intrapredenza, coraggio e impavidità ed una certa testardaggine che lo rendono il perfetto futuro capobranco della sua comunità, com’era stato suo padre prima di lui, il quale non viene mai mostrato facendo intendere al giovane spettatore la sua prematura scomparsa. L’unico legame potente di Spirit è la madre, sua unica certezza e legame in quella distesa infinita che è il mondo che il giovane mustang dovrà abitare.

Una volta diventato adulto, e assuntosi la responsabilità di essere la guida del branco, Spirit dimostra di essere degno del ruolo affidatogli dalla comunità, proteggendo e guidando il branco. Una notte però, Spirit viene attirato dalla presenza del fumo di un accampamento di cowboy in lontananza. Il mustang, che non ha mai conosciuto l’uomo, si avvicina incuriosito, ma per sua sfortuna viene scoperto e catturato. Verrà portato dai cowboy in un campo militare dove i soldati cercheranno di domarlo. Ma non sanno che il giovane stallone mustang ha a suo favore una notevole furbizia e ardore che darà loro filo da torcere, e al loro colonello, vero antagonista di tutto il film. Per Spirit inizerà una verrà fuga e ricerca della sua libertà, al solo scopo di ritornare a casa.

Un inno alla libertà

Dreamworks, così come Pixar, più volte ha dato prova di essere in grado di narrare storie anticonvenzionali e lontane dallo stile Disney alle piccole generazioni di spettatori, e Spirit: cavallo selvaggio è una di queste. Una storia semplice ma ricca di dramma, tensione, azione ed epicità che catturano lo sguardo dello spettatore fin dal suo opening, che mette in chiaro subito una cosa: qui gli animali non parlano, sarà la musica a farlo per loro. E così sarà. Perché la potenza del film d’animazione di casa Dreamworks sta proprio nel trasportare la storia del giovane stallone mustang nela realtà più vera che lo spettatore conosca: la sua.
Infatti, gli unici a parlare nel film non sono che gli umani. L’animale non parla allo spettatore direttamente, come è consetudine nei classici Disney. Ciò porta il film ad una maturità narrativa molto alta, lo spettatore dunque si dimentica di star guardando un normale film d’animazione, ma piuttosto una storia che d’invoglia a scoprire in tutti i modi il suo finale.

Cultedì: Spirit - Cavallo selvaggio

L’importanza della colonna sonora

Altro tassello importante e imprescindibile che rendono ancora più memorabile il film è ovviamente la sua colonna sonora, firmata dal maestro Hans Zimmer dove a dare voce al pensiero di Spirit nel parlato è Matt DamonGiorgio Borghetti e nel canto Bryan AdamsZucchero, dove quest’ultimo per molti della critica ha supertato di gran lunga a versione originale cantata dal celebre cantante canadese.

La colonna sonora di Spirit: cavallo selvaggio è diventata col passare degli anni vero e prorpio punto di riferimento per tutte le generazioni, che non aspettano altro per cantare le canzoni a squarciagola, scimmiotando le voci originali e della versione italiana.

Ma prendiamo come esempio due momenti del film: il viaggio in prigionia di Spirit nel treno merci e il salto da lui compiuto nel canyon per sfuggire al colonello. La prima scena pone il bambino, o adulto che sia, nella condizione di entrare in perfetta connessione con il protagonista della storia. La canzone in questione, Sound the Bugle – Suona il corno esplora il ricordo, la nostalgia di casa e il dolore del protagonista in una dimensione del tutto legata alla solitudine, per quanto egli sia di fatto in compagnia di altri suoi simili fatti prigionieri nel vagone del treno merci. E laddove l’immagine mostra il dolore, la canzone amplifica il grido della sofferenza del mustang.

Nella seconda scena invece, quella del salto, ormai iconica, non servono parole. La tensione è a mille! Spirit è ad un bivio. Ormai è in cima al canyon e come unica via di fuga ha davanti a sè ha la prateria. Ma tra lui e la prateria, la libertà, c’è un uno strapiombo lunghissimo. In groppa a Spirit si trova Piccolo Fiume, un indiano Sioux che come Spirit era stato catturato dai cowboy e portato nel campo dei soldati, dove per l’appunto aveva stretto un’elleanza con il cavallo. Piccolo Fiume, che ha capito che il cavallo vuole saltare il canyon, è terrorizzato: di fronte a loro hanno la morte, dietro di loro i saldati che si fanno sempre più vicini. Spirit raccoglie tutto il coraggio e parte.
In quel salto sentiamo il brano Homeland di Hans Zimmer nel suo apice più epico. Tutto nella scena vuol essere un grido di libertà e di liberazione. Al tal punto che, non solo lo spettatore rimane a bocca aperta, ma anche l’antagonista. Il colonello, che voleva a tutti i costi domare il cavallo, non può far altro che ammirarne la tenacia. Non può che concedergli la libertà abbasando lo sguardo come unico segno di rispetto e di riconoscenza verso l’avversario.

Mai avere pregiudizi con i film d’animazione: MAI

Spirit: cavallo selvaggio ci dimostra ancora una volta come la potenza dell’animazione sia unica. Sia per quanto concerne la portata tecnica dell’immagine e della sua messa in scen. Sia per come si sceglie di veicolare l’emozione dall’immagine 2d all’anima del pubblico.

Spesso si sente dire Ah, ma se è un film d’animazione allora è un film per bambini!. Sbaglio più grande non si potrebbe fare. Il Cinema ci chiede di restare bambini lasciandoci meravigliare dalle storie portate sul grande schermo. Perciò, chi siamo noi per negarglielo?!
Lo ribadiamo: l’animazione è la tecnica. Non il target. Allo stesso modo, così come nei live-action, vengono esplorati più generi cinematografici. Non solo il disegno 2D, come nel caso di Spirit: cavallo selvaggio, ma anche 3D, la stop-motion e altre che riscopriremo attraverso le piccole perle.

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