Da “Magari Muori” a “La Solitudine di una Regina”: Romina Falconi si racconta – INTERVISTA

"La Solitudine di una Regina"

Dal 26 aprile, è disponibile in digitale “La Solitudine di una Regina”: una ballad, scritta e cantata da Romina Falconi, che racconta la storia di una regina prigioniera dell’assenza. Un piccolo estratto di un progetto più ampio, come lei stessa lo ha definito nel corso dell’intervista, che si evolve all’interno di un concept album dal titolo “Rottincuore”.

Quello realizzato, partendo da questa piccola lettera insanguinata, è un trattato di psicologia immaginato dalla cantautrice dopo le esperienze rocambolesche che ha vissuto nella vita. Elementi che riescono a trasparire semplicemente attraverso il video della canzone, oltre che dal suo testo.

"La Solitudine di una Regina"

Come riesci a mettere per iscritto il tuo vissuto e a mandare anche al prossimo questa sorta di “balsamo per le ferite”?

«Allora, la verità è che ho ho imparato – senza volerlo – a mettere maschere tantissimo tempo fa e, quindi, a cercare di omologarmi perché c’era una vocina dentro di me che mi diceva “Romina non ti fa’ riconosce”. Però, ho capito che il mondo della scrittura è l’unico perimetro dentro il quale butto giù le maschere. Nella vita di tutti i giorni, sembro infrangermi continuamente, poi invece nella canzone riesco a trovare quel qualcosa che mi aiuta a tenere botta. Il trucco è pensare che quella canzone nasca e muoia nella mia stanzetta, che non la sentirà mai nessuno. Quindi se tu scrivi pensando che la sentirai solo tu, per forza, ti metti a nudo».

Venire a patti con la solitudine, specie in questa epoca, è veramente complicato. Gli altri ci vogliono bellissimi, accoppiati, delle copertine per i social. Tu invece canti per gli altri delle emozioni giudicate sbagliate, come vieni a patti con questo confronto tra apparenza e sostanza?

«Io vengo da un quartiere di Roma che si chiama Torpignattara, è molto controverso e non ha una bella nomea. La cosa bella è che mi ha insegnato che nessuno si deve sentire solo. Quando tu vivi in un posto pensi che tutto il mondo sia così. Fuori invece mi è mancata sta roba e per ritrovarla uso le mie canzoni. Lo scopo, infatti, è quello di provare a fare una carezza a tutti quelli che non si sentono completi, che si sentono un pochino crepati dando anche uno schiaffone a quelli che credono di sapere tutto della vita e di avere le risposte pronte in tasca.
Stare dalla parte del giusto piace a tutti, no? Cioè chi è che vuole stare dalla parte dello sbagliato? Penso nessuno.
In realtà, le volte che abbiamo sbagliato non eravamo proprio coscienti di star facendo un errore. Il punto è quello umanizzare le ombre perché siamo in un momento storico in cui stiamo tutti molto performando. E siccome per tutta la vita ho messo delle maschere per paura di non essere accettata così com’ero, adesso è importante far uscire poi la mia vera natura, tutti i miei difetti, senza farmi troppi problemi.
Vedo che però ultimamente c’è questo bisogno di vedere, sai, queste sui social, questi pensieri giudicanti in maniera proprio gratuita. C’è questo bisogno di stare tutti dalla parte del giusto, di sembrare tutti più vincenti, più educativi. Perché ci piace l’idea di rimandare al mondo un’immagine specchio di quella positività tossica che alle volte fa più male del dolore stesso. Una sorta di psico-trappola dalla quale poi alle volte faremo fatica a uscire, perché il giorno che uno fallisce diventa l’inferno. Quindi, almeno nelle canzoni, vorrei liberarmi un po’ da questo moralismo in cui bisogna sentirsi superiori. Perchè nascondere l’ombra non è tanto giusto ai fini della nostra evoluzione personale. L’errore, ovviamente, non lo auguri a nessuno, ma attraverso di esso si impara».

Hai parlato di “psico-trappola” ed è molto interessante come definizione. Come credi che si riverberi negli altri?

«Ne parlavo giusto con una delle mie amiche che mi ha detto: “guarda che quando viene idealizzato un personaggio pubblico, il fatto che fallisca è come venisse umanizzato l’errore e venga umanizzata quella idealizzazione”. Quindi non è che la gente ami vedere fallire le persone, ma ne è attratta come quando siamo in autostrada e c’è un incidente. Nel vedere una figura potente che cade vediamo noi stessi, quindi quella roba è estremamente attraente anche se non lo vogliamo.
Nel senso che non non è che stiamo lì a razionalizzare il perché ci attrae tanto quell’argomento piuttosto che quell’altro, ma col fatto che escludiamo il fallimento dal nostro story-telling quotidiano ci rinchiudiamo in queste trappole positive. Parlo soprattutto dei soggetti più fragili e delle nuove generazioni che sono cresciuti con lo smartphone in mano, che praticamente non hanno la percezione di questi sentimenti che vedendo i loro idoli essere sempre vincenti. Non hanno la percezione poi del fatto che nel quotidiano bisogna cadere per imparare a camminare bene».

"La Solitudine di una Regina"

Come riesci a declinare ciò in musica?

«Allora, parti dal presupposto che a parte che non sono la Montessori e non credo di poter essere in grado di educare nessuno. Ho, però, scelto il genere POP; un tipo di musica estremamente educativo. Nel senso che il portavoce della canzone POP deve essere sempre la persona dalla parte del giusto e io in quei ruoli lì non mi ci sono mai rivista. Proprio perché con la sindrome dell’impostore che mi ritrovo, non credo di essere un esempio. Quindi preferisco far vedere le mie cadute riportandole in metrica per poi dirmi “chi se ne frega del giudizio altrui”.
La canzone deve, simbolicamente, rappresentare qualcosa e io volevo che fosse una carezza per per per quelli che ancora devono prendere le misure su un determinato argomento. Poi mi rendo conto che è ambizioso mettersi in una stanza e scrive una canzone, però è come se fosse la mia palestra, la mia piscina. Non so cosa sarà di me a livello professionale, ma io so che non smetterò mai di scrivere».

Le differenti tematiche sociali fanno, da sempre, parte della tua identità artistica… quello che mi piacerebbe chiederti è come riesci a unire messaggio, musica e identità.

«Non lo so perché è stato un percorso molto doloroso, anche a livello umano, perchè dietro a qualsiasi percorso musicale c’è comunque una persona che che ha le sue crepe eccetera. Penso che, in questo momento storico, fare musica sia un privilegio. Io non so ricca di famiglia, non ho parenti discografici che mi hanno potuto dare delle nozioni. Ho fatto un sacco di tentativi e quelli lì sono stati essenziali per me.
Per questo dico che, adesso, siamo in un’epoca in cui siamo bombardati di canzoni per cui se uno ha un’opportunità di qualsiasi tipo, deve arrivare primo. Nel caso contrario, sembra quasi che sia la fine come se il tuo nome fosse marchiato a fuoco, perché già hai avuto un’opportunità e te la sei bruciata. Però se ci pensi nella nostra vita, è come dire che se ti piace studiare e provi una facoltà, successivamente ti sta stretta, allora vabbè hai avuto la tua occasione allora molla. Invece no, magari devi solo trovare una cosa che è più adatta a te.
Io sono sempre stata un outsider e mi sono sempre vista diversa dagli altri, questa cosa da vivere dentro è orribile perchè la senti come una condanna.
Sono venuta a patti con questa cosa grazie alla terapia e alla mia dottoressa che un giorno perché mi fa: “ma tu ci hai mai pensato che il giorno che ti senti come l’altri non crei niente? Perché magari questo aspetto non è invalidante, al contrario è la tua benzina. Proprio grazie a quel non sentirti abbastanza andrai sempre alla ricerca di qualcosa di diverso. Ci hai pensato mai?”

E io zitta muta so tornata a casa, pure con le orecchie e basse zitta, perché ho detto “Ok è una vita di merda”, l’avrei voluta più infiocchettata e più impomatata, ma magari non avrei fatto le stesse cose. Quindi, chi se ne frega di come vanno le cose… io mi sto adattando per salvarmi, perché in effetti non noi non sapremo mai come sarebbe andata diversamente. Dobbiamo, quindi, renderci conto che non c’è una formula vincente o no e che a volte anche una carriera assurda e folle nasce in una maniera assurda perchè questa è la cosa più adatta a noi».

Tornando al concept album da cui hai estratto “La solitudine di una Regina”, come lo descriveresti e cosa speri che arrivi al pubblico?

«Io voglio la luna.
Io ho fatto un piccolo sondaggio tramite i social sulla parola “nicchia”, pr sapere quali sarebbero state le loro definizioni. La nicchia è una rientranza sul muro, no? Però sono quelle parole che mi attirano tanto perché possono avere ulteriori visioni. Io sono fiera di fare la nicchia, perché vuol dire avere un pubblico scelto: tu fai una cosa diversa dal generalista che che vai a toccare solo alcune corde di alcune persone, quindi non di tutti. Però nicchia può voler dire anche piccola fetta, ma chi la vuole la piccola fetta? Cioè tutti vogliamo tutto.
Allora, l’idea è partire puntando la piccola fetta e poi speri che questa si allaghi. Io ho avuto la conferma che questo poteva essere il mio lavoro, successivamente all’uscita di “Biondologia” e di “Magari Muori” perchè mi sono sentita Céline Dion. Calcolando da dove sono partita, per me, era una grandissima soddisfazione il riscontro che stavo avendo.
Adesso, con “Rottincuore”, sogno di continuare questa galleria dei peccatori che alle volte sono sbagliatori seriali e alle volte sono sbagliatori inconsapevoli. Come nel caso di “La Solitudine di una Regina” in cui volevo parlare dell’assenza e di come questa possa diventare un peccato.
Se, in ogni caso, il mondo POP va da una parte, io voglio andare dall’altra parte e farlo anche con la convinzione che là fuori c’è gente che non si accontenta».

L’invito, quindi, è quello di seguire Romina Falconi nel suo tour. Dopo l’esordio live in Santeria a Milano, il mese di maggio sarà ricco di momenti in cui sarà possibile incontrarla. Il tour prende il nome di “Rottincuore Recital – Monologhi Biondi e Canzoni Avvelenate”. Si parte il 17 maggio alla Latteria Molloy di Brescia, si continua col 18 allo Spazio211 di Torino, Il 21 al Monk di Roma e il 24 al Crazy Fest di Podenzano (PC).
Romina con la sua band infiammeranno le diverse tappe col suo repertorio e i suoi monologhi!

di Lapizia

Guardo troppi film e parlo troppo velocemente, ma ho anche dei difetti!

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