Eileen (Thomasin McKenzie), una giovane donna, conduce una vita monotona come segretaria in un riformatorio. Non c’è molto da fare, se non ordinare alcune pratiche, e la sua vita è priva di significato. Tornare a casa è più un fardello che un vero momento di riposo. Lì, tra le mura domestiche, c’è suo padre ad attenderla. Un uomo che, dopo la pensione da poliziotto, non fa altro che affogare le sue giornate nell’alcol.
William Oldroyd, grazie alla scrittura di Ottessa Moshfegh, ci trasporta nella Boston degli anni ’60, un luogo in cui il tempo sembra essersi fermato, incupendo e ingrigendo l’atmosfera. Un contesto sociale complicato che incatena chi lo vive. Un quadro di routine quotidiana che spinge i protagonisti a lasciarsi trascinare dal lento scorrere degli eventi. Un “è sempre stato così” che non cambia fino a quando un nuovo elemento non introduce una nuova variabile. Le conseguenze? Una presa di coscienza della realtà e i suoi disastrosi epiloghi.
![Eileen](https://i0.wp.com/www.lapiziaviewsmagazine.it/wp-content/uploads/2024/12/copertine-articoli-20-1.png?resize=640%2C336&ssl=1)
Eileen è chiusa in se stessa e intrappolata in una routine inesorabile fatta di stati quasi catatonici e insulti velati da parte di chiunque le stia intorno. Non può fare altro che vivere in uno stato di costante frustrazione, che si manifesta attraverso le sue pulsioni sessuali. Le sue fantasie sono gli unici momenti che riescono a distaccarla dalla realtà. Un giorno, però, le cose cambiano e l’interesse che inizia a nutrire per una donna “di città” le dà un barlume di speranza. L’arrivo di Rebecca (Anne Hathaway) inizierà a mostrarle un nuovo modo di vedere le cose e le permetterà di valutare diverse vie di fuga dalla sua prigione.
Dal 30 maggio, “Eileen” è nelle sale: un thriller psicologico che esplora le dinamiche più oscure della mente umana. La trama ruota attorno alla complicità femminile e a quanto possa diventare insidiosa se alimentata da sentimenti negativi come quelli vissuti tra le due protagoniste.
Nel film, si sviluppano dinamiche pericolose che lo rendono simile a “Ultima notte a Soho”; i due film condividono infatti la stessa attrice protagonista. Thomasin McKenzie ha il volto ideale per questi twist narrativi in cui la vittima diventa il carnefice. Una sorta di liberazione catartica accompagna il climax degli eventi che sconvolge la vita della protagonista. La recitazione naturale e asciutta di McKenzie si contrappone alla presenza scenica da femme fatale di Anne Hathaway. Con i suoi capelli biondi ossigenati, i suoi grandi occhi e quel sorriso enigmatico, Hathaway incarna perfettamente l’esploratrice della psiche umana.
![Eileen](https://i0.wp.com/www.lapiziaviewsmagazine.it/wp-content/uploads/2024/12/copertine-articoli-18-1.png?resize=640%2C336&ssl=1)
I toni della fotografia potrebbero far sembrare il racconto piatto e privo di profondità esistenziale. La palette grigia e desaturata, però, non fa altro che da sfondo a quella vorace fame che Eileen tiene soppressa. Intrappolata in una prigione simile a quella in cui lavora, dalla quale non può evadere, diventa un tutt’uno con l’ambiente circostante. La frustrazione della prigionia, i desideri inespressi, il ruolo di figlia e casalinga costretta a prendersi cura di un padre alcolizzato, creano un contorno malato e corrotto che frammenta lentamente la sua psiche. La fragilità viene sempre più esposta man mano che i desideri inespressi emergono durante il corso della narrazione.
Siamo in un’altra epoca e il regista lo chiarisce fin dall’inizio, con i titoli di testa che, dal font alla grafica Universal, forniscono chiavi di lettura specifiche dell’opera. Si osserva un altro tempo, si seguono altri simboli, ma forse il marcio presente è del tutto attuale. In questo modo, si esplorano i contrasti esistenziali che caratterizzano le due protagoniste. L’abuso diventa la chiave di lettura e il grigiore della vita lascia spazio alle macchie di sangue.
Non si tratta di una reale emancipazione femminile come la intendiamo oggi, ma di pura e semplice liberazione. Un processo che avviene nel modo peggiore, nato da un’esigenza esplosiva come un colpo di pistola. Le dinamiche che si innescano rendono lo spettatore sempre più affamato e assetato di libertà, proprio come le due protagoniste.