Dopo “I Predatori”, Pietro Castellitto torna alla regia e alla scrittura col suo secondo film “Enea”. Approdato al Lido di Venezia per la sua ottantesima edizione, adesso è posto al vaglio del pubblico in sala. Una critica profonda e attenta, quasi al vetriolo, nei confronti della classe borghese e della monotonia che essa comporta. Un film non universalmente accolto, forse insufficientemente compreso, ma che al contempo emerge come la creazione più fresca di questa esposizione. Un nuovo approccio alla produzione cinematografica, una nuova ondata che si scontra con la stagnazione delle acque lagunari.

Enea ci conduce in questo suo viaggio attraverso distese di spiagge senza fine. Oltre alla direzione, Pietro assume il ruolo del suo protagonista e con il suo sguardo e i suoi sorrisi riesce a trasportarci nella sua strafottenza. Fin dai primi momenti, tutto è chiaro, si spiega immediatamente di cosa si tratta e la mancata comprensione di questo passaggio iniziale significherebbe perdere il cuore di questa narrazione. Il tutto si apre con un dialogo tra Valentino, l’amico più intimo di Enea, e la madre del ragazzo sulla difficoltà di intraprendere relazioni a lungo termine. Figlio di genitori divorziati più volte, lui e Valentino respingono l’idea di cedere alla routine, preferendo vivere intensamente anziché lasciarsi sopraffare dalla vita. Per mantenere questo stile di vita, si nascondono dietro al supporto finanziario dei loro genitori.
Droga e criminalità si intrecciano in complesse storie familiari che spingono sempre più verso la resistenza o il completo fallimento. La famiglia di Enea rimane impassibile di fronte al crollo di una palma che distrugge parte della loro vita; ignorano completamente i problemi scolastici e relazionali del figlio più giovane; e trascurano l’evidente abuso di droga di Enea, considerandolo solo un periodo di smarrimento giovanile.

Questo film riassume in poche righe un mondo, una sorta di cupola di vetro, e ne illustra ogni piccola crepa. Ogni problema diventa come una scheggia di vetro impazzita pronta a ferire chiunque si trovi sulla sua strada. Rimane solo l’opzione di rifugiarsi nel sorriso di Enea e nell’abbandonarsi al suo sguardo sornione che, in realtà, non ti sta guardando, ma sta pensando alla prossima avventura. La storia di Enea e Valentino è quasi una storia di formazione, la cui conclusione non offre una lezione da apprendere, ma piuttosto un tentativo di evitare la noia che ha segnato le vite che li hanno plasmati. Così si anela a una conclusione positiva o al completo disfacimento sulle note di “maledetta primavera”, anziché cedere al fallimento di continuare a vivere.
“Enea” dimostra la capacità di criticare con uno sguardo clinico il mondo da cui proviene l’autore stesso. Riesce a mettere a nudo l’abbandono e il disfacimento che marcano profondamente la nostra società e, allo stesso tempo, suggerisce una via di fuga. Un film non facile da comprendere o apprezzare, ma che, se seguito attentamente, rivela una notevole voglia di combattere.