Giuse the lizia largo venue

Se penso a quanto sia strano venire a conoscenza delle novità, in un mondo sempre più iperconnesso, ripenso sempre a luglio. Si, avevo ascoltato qualche canzone – costretta – di Giuse The Lizia prima del Super Aurora. A luglio, non lo posso negare, mi sono totalmente innamorata della sua capacità di tenere il palco e di far ballare chiunque vi sia al di sotto. Mi sono abbeverata del suo “Internet”, al punto di non esser ancora riuscita a scriverne una recensione che non fosse personale. Quindi, non vi aspettate un reportage che non sia di parte, purtroppo lo sarà.

Giuse the lizia largo venue

Mentre me ne sto qui a chiedere alle mie amiche “perché pensano che andrà tutto male”, la musica inonda la pista di Largo Venue, le luci si accendono e la folla esplode nell’urlare il testo di una canzone che ci si incolla addosso. Il caldo, nonostante le temperature non miti dell’esterno, inizia a farsi sentire. Cartelloni si sollevano e la richiesta di un BeReal raggiunge persino quel giovane ragazzo che col suo pubblico ci interagisce. Chiacchiera, salta, urla, canta di emozioni comuni e le incide nei suoi testi. La band non può far altro che seguire quel ritmo già sancito da tutte le volte in cui qualcosa gli cadrà da dosso. Non importa neanche quella sigaretta di punta, fa parte del suo fascino. Bagheria e Bologna, in questo modo, si incontrano all’interno delle sue vocali aperte e delle sue inflessioni.

Arriva poi tutto il susseguirsi del suo flusso di coscienza, in una scaletta che dapprima fa saltare e successivamente trasporta nel baratro più profondo di quel romanticismo dark. Da “Radical” a “Piccoli Piccoli” è un turbinio di emozioni. Ecco che la ragazza in mezzo alla platea ha un mancamento, o che la ragazza attaccata alla transenna inizia a singhiozzare così forte da non riuscire a trovare il fiato. Si poga persino, mai vista una cosa simile in quello che sulla carta dovrebbe essere un concerto indie. Eppure, sembra non esistere genere, solo buona e semplice musica che viene tenuta alta dalle corte della sua chitarra così come dalla sua voce.

Giuse the lizia largo venue

A “Give me love” mi sono dovuta fermare persino io. Guardarlo da sotto quel palco, mentre cantava tutta la sua necessità di avere un amore di ritorno. Un’essenza, un’anima, lasciata da sola senza alcun tipo di spiegazione. Non ci resta far altro se non “perdersi un po’” e riprovare domani cercando la nostra “direzione”. Si, Giuse… anch’io gli allacci con la tua scaletta me li sono studiati prima di scrivere questo articolo.
Poi arriva un “Flash” e ti basta uno sguardo di complicità con la tua migliore amica per ricordarti tutte le volte che l’hai cantata in macchina, verso una qualsiasi direzione. Mentre si viaggia più con la fantasia che sull’asfalto. Quasi un “Vietnam” direbbe qualcuno, ma del resto cosa vuoi che importi se viene lanciato un reggiseno sul palco e viene schivato con una tale nonchalant da rendere libere le interpretazioni su quale sia il “lato A” e il “lato B”.

Un percorso che, come dicevamo, porta verso le lacrime che neanche sai di possedere. La fonte battesimale che si riversa sulla platea e ci trascina in una sorta di assoluzione dei peccati collettiva. Si ripensa, in questo modo, all’amore perso tanto quanto a quello dato. Si pensa a chi si è perso e a chi è arrivato. Sperando, collettivamente, di fare una qualche follia in “diretta Rai”

Si, è assurdo pensare a quanto questa musica sia arrivata come una novità nella mia vita. Allo stesso modo è assurdo pensare a quanto io adesso non possa fare a meno di cantarla. Incisa tra uno “scs” e un “Boy don’t cry”, perché infondo non possiamo fare a meno di ricordarci che ai concerti vale la pena piangere tutte quelle lacrime. Ma forse è meglio non farlo per un bel c*lo.

di Lapizia

Guardo troppi film e parlo troppo velocemente, ma ho anche dei difetti!

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