“San Luigi” è il secondo singolo dei Sapada, disponibile su tutte le piattaforme dal 2 dicembre con distribuzione DistroKid. Il giovane duo indie è composto da Francesco Freschet, autore e voce, e Alberto Da Ros, bassista. Un progetto fresco e autentico che unisce sonorità indie e richiami folk per dar vita a un brano sincero ed energico. Il nome è ispirato al paesino di Sappada, dove nascono i loro momenti creativi.
“San Luigi” è una cascata di emozioni e una dedica al “dio della musica” che li guida nel loro percorso artistico. Li abbiamo intervistati proprio in occasione della loro ultima uscita, così da poter far emergere alcune loro particolarità.
Il vostro progetto è sicuramente non convenzionale. Quando è importante mantenere la vostra identità nonostante in essa convergano diversi generi musicali?
«È complicato parlare di identità dal momento che, come affermato nella domanda, attualmente convergono diversi generi musicali nella nostra produzione. Peraltro quest’ultima risulta piuttosto limitata, ancora acerba, di conseguenza é complesso mantenere una linea identitaria quando ancora non si è formata del tutto. Ciononostante l’intenzione è quella di tracciare un confine con generi che non ci appartengono. Rimaniamo fedeli ai nostri ascolti e alle nostre indoli di cantautori appassionati di funk».
Vi andrebbe di raccontarci qualcosa di più sulla genesi di “San Luigi”?
«San Luigi nasce come una canzone che parla della nostra volontà di studiare musica e vivere di essa. Durante le superiori infatti abbiamo deciso entrambi di studiare in conservatorio ma ci sono state diverse difficoltà che ci si sono parate davanti, prima fra tutte il fatto che l’ammissione richiede diverse competenze teniche e conoscenze a noi all’ora sconosciute. Abbiamo quindi ricevuto diversi rifiuti e parecchie botte sul naso, San Luigi nasce proprio da quella frustrazione, dal non volersi piegare alle avversità che che ci si parano davanti pur di inseguire un sogno».
C’è una sorta di “disillusione” narrata tra i vostri brani. C’è un’evoluzione tra “Nome Palindromo” e “San Luigi”?
«Missaggio e master esclusi, sono canzoni che percepiamo attualmente ancora piuttosto simili, nonostante l’arrangiamento sia nettamente diverso; forse è perché sono state scritte nello stesso periodo. Da un lato dunque sono molto legate, soprattutto dal punto di vista dell’approccio alla registrazione e alla produzione. D’altro canto sono comunque due brani che fanno parte di un percorso piuttosto lungo, caratterizzato e in parte limitato dal lavorare a distanza, di conseguenza le produzioni sono state realizzate a distanza di parecchi mesi, mesi in cui siamo cresciuti o ci siamo evoluti vivendo costantemente in un ambiente molto stimolante. Siamo convinti che tutto ciò sia abbastanza inevitabile (e non per forza deleterio) viste le limitazioni attuali del progetto, ora non resta che sfruttare al massimo anche la situazione attuale, come preparazione per costruire qualcosa di sempre più interessante».
Come descrivereste la vostra musica a chi non l’ha ancora ascoltata?
«Caos, magia, divertimento, gioia ed estasi. Senza prendersi troppo sul serio, semplice ma intricata come quando parli con chi ti conosce da sempre».
Considerato il testo del vostro ultimo brano, questa domanda è quasi d’obbligo: voi che state appena iniziando, che consiglio dareste ai voi stessi di cinque anni fa?
«Se potessimo ci diremmo di dare tempo al tempo ma al contempo non trascurare la fame provinciale di cui solo ora ci rendiamo conto rispetto a qualche anno fa. Investire di più nel progetto, rischiare di più e assumersi responsabilità ma comunque senza forzare la nostra crescita».
Se poteste sceglier un film, una serie tv o un videogioco a cui poter fare da colonna sonora con la vostra musica, che cosa scegliereste?
«Per noi sarebbe “Brooklyn 99”, sitcom americana che racconta le storie grottesche e comiche di un distretto di polizia di del quartiere newyorkese. Ci piace a entrambi perché rispecchia molto la nostra natura ironica e buffa ma anche seria e sincera».