“Post Mortem” non se lo aspettava nessuno. Lo stavamo aspettando tutti.
È appena uscito su tutte le piattaforme digitali il nuovo album de i cani (minuscolo non è un errore), la band-non-band di Niccolò Contessa, a nove anni di distanza dal disco precedente. A sorpresa, senza annunci e di prima mattina.
Scritto, registrato, suonato e cantato da Niccolò Contessa al Pot Pot Studio. Prodotto dallo stesso Contessa insieme ad Andrea Suriani che si è anche occupato di mix e master. L’album esce come sempre per 42 Records, distribuito da Sony Music Entertainment, e contiene tredici nuove canzoni.
Al centro di tutto c’è la musica, quindi zero chiacchiere, zero immagine. Tutto quello che c’è da scoprire è nel disco.
C’è chi li definiva “sotterrati” e, su questo, loro ci giocano alla grande. Si potrebbe definire così la nuova fatica (dopo 7 anni) de “I cani“, band che vede al timone Niccolò Contessa. Più che un “post mortem” questa la si potrebbe definire, visto il periodo di uscita dell’album, una vera e propria resurrezione, seppur in toni diversi.
Un inizio cupo ma efficace
L’album parte carico al massimo, con alcune parole di persone che discutono in francese e il suono onomatopeico di una chitarra, accompagnata da un tono di voce soffiato, che dona un velo di tristezza e malinconia.
“Chi mi ha dato una spinta
Chi mi ha fatto cadere
Chi mi sputa nel piatto
E dentro al bicchiere
Chi mi aveva convinto di essere quello che non sono
Chi mi ha dato uno schiaffo
E non ha chiesto perdono“
Si parla, ovviamente, di “Io“, un brano che riflette sul rapporto tra umani e animali, analizzandone i punti più oscuri, facendone una vera e propria denuncia sociale. La volontà delle parole utilizzate è accendere un faro, una luce sul fatto che gli animali spesso non siano trattati nel modo giusto, anzi, del fatto che esista una specie di superiorità nei confronti di essi.
Una presa di posizione netta, che fa raggelare il sangue nelle vene. E’ la consapevolezza del fatto che gli esseri umani siano diventati ciò che non avrebbero mai dovuto essere.
“Io, io, io”
L’onamotopea del pronome utilizzata all’interno del brano è un’ammissione di colpa, o vorrebbe esserlo, in un modo in cui ci si pente delle proprie azioni. La ripetizione, infatti, fa sentire ancora di più il peso di ciò che si dice.
Voce più della musica
Ascoltando le diverse tracce, si percepisce quanto l’obiettivo sia quello di trasmettere emozioni attraverso la voce e le parole, scelte con cura. La musica in questo album, infatti, è ridotta all’ “osso”, per restare in tema, per dare spazio alla potenza dei versi. I synth sono spesso usati per rendere più frenetico il ritmo, senza troppi cambi sonori, nessuna sferzata che cambierebbe il senso dell’intero disco. Si tratta di una scelta coraggiosa, in un’epoca in cui spesso la musica toglie troppo spazio alla voce.
Un ritratto generazionale
Un brano che colpisce, tra i tanti, è “Colpo di Tosse”, un brano che nella sua apparente freschezza nel ritmo, nasconde un significato profondo. I “due anni di fila dal dottore”, infatti, sono probabilmente quelli vissuti da chi ha vissuto situazioni difficili e, da esse, ne ricava la propria forza. È un manifesto e un invito a non arrendersi perché i colpi di tosse, a tutti gli effetti, sono qualcosa di effimero, che non lascia segni nel tempo.
La continua alternanza
La scelta, piuttosto azzeccata, di alternare brani dalle sonorità più veloci ad altri più lenti (colpo di tosse/davos/colpevole in sequenza) permette all’ascoltatore di godersi le diverse sfumature regalate dalle diverse tracce, mai banali, che costruiscono un tassello dopo l’altro l’essenza di chi lo ha voluto comporre.
Un brano simbolico
“Post mortem”, il brano che dà il titolo all’album, è una perfetta “marcia funebre” funerale, fatta di sonorità, senza il bisogno di aggiungerci le parole. E’ una dolce coccola, una falce e un cappuccio nero circondato di ossa che trasportano l’ascoltatore verso la fine del viaggio, al pari del Caronte della Divina Commedia di Dante.
Una chiusura suggestiva
L’ultimo pezzo dell’album, “Un’altra onda”, dona alle orecchie la piacevole sensazione delle onde del mare che si stendono sulla battigia al calar del sole.
“Si avvicinerà
E diventerà altissima
Ti rovescerà
Con la testa sott’acqua”
L’arrivo di quest’onda, che potrebbe essere qualunque evento o situazione nella vita di una persona, la travolge, fino a trascinarla con sé sott’acqua, in una danza del tutto singolare. Sembra, infatti, che si voglia dire che essa rappresenti tutti i problemi o le difficoltà che si possono avere nel corso della vita.
“Tra un po’ toccherai
Con i piedi la sabbia
E ti rialzerai
E vorrai un’altra onda“
La volontà di affrontarla l’onda si vede tutta da queste parole. Appena si tocca la sabbia, infatti, si ha il desiderio di prenderne un’altra, rimanendo sempre in piedi. La tempra delle sfide che si attraversano forgia chi le vive, è per questo che si ha sempre bisogno di averne di nuove per non perdere mai la forza di reagire.
Non si sa se “Post Mortem” sarà davvero l’ultimo album de “I Cani” ma, va sottolineato, è una produzione che riesce a spaziare e a trattare diversi temi in modo perfetto, dimostrando una maturità artistica invidabile.
I testi stessi, ognuno di essi, è inquadrato nel proprio contesto, determinando un’evoluzione e una volontà di esplorarsi continua. Questo album stupisce al primo ascolto e mantiene coerente l’immagine che ci si era fatti di questa band, che negli anni ha regalato sempre prodotti all’altezza.
Ciò che è certo è che la loro musica è in grado di entrare dentro l’anima delle persone. Col potere di cambiarne percezioni e modo di vivere i sentimenti. Un ritratto personale, ma di tutti che si fa spazio tra le pieghe delle persone donando loro una nuova consapevolezza del proprio essere.