“L’amore, in teoria“ di Luca Lucini è una commedia romantica. Si, sicuramente, ma è molto di più. Con questo film il regista sposta la telecamera, forse per la prima vera volta, su uno sguardo diverso: quello maschile. Il film è un racconto di formazione sentimentale. Una storia sulla disillusione e sulla riscoperta di sé, che riesce a parlare d’amore senza mai scivolare nella retorica, ma anzi dando un punto di vista nuovo.
Il film si muove con eleganza tra commedia e introspezione. Lucini riesce a catturare le incertezze, le idealizzazioni e le contraddizioni che affollano le relazioni affettive contemporanee, soprattutto tra i ventenni. E lo fa con una leggerezza mai superficiale, con uno sguardo che sa cogliere l’essenza delle emozioni senza bisogno di urlarle attraverso lo sguardo, sincero, di una giovane promessa: Nicolas Maupas.
La trama
Leone è un ragazzo che vive nella sua testa, nei suoi dubbi e nelle sue domande. Studente di filosofia, riflessivo, gentile, sempre disposto ad aiutare, ma incapace di trasformare i suoi sentimenti in azioni concrete. È segretamente innamorato della sua amica Carola, brillante ma incerta, una di quelle persone che sembrano inconsciamente attratte da chi le ama senza pretese, senza scosse.
Quando Leone accetta di fare l’ennesimo favore a Carola — coprendola davanti ai suoi in una relazione complicata — si ritrova coinvolto in un’esperienza di lavoro sociale in cui incontra Flor, un’attivista ecologista, sicura di sé, diretta, quasi l’opposto di Carola. Con Flor, Leone entra in contatto con un modo diverso di vivere: più viscerale, più presente, più autentico.
“L’amore, in teoria”, non è il classico triangolo amoroso. E’ un percorso che si delinea in una vera e propria riflessione viva su ciò che cerchiamo nelle persone, sui legami che instauriamo e sulle scelte che siamo disposti a compiere per essere dove e chi vogliamo essere.
La regia e i temi
Lucini dirige con tocco leggero ma sempre attento, lasciando spazio ai silenzi, agli sguardi, a quei piccoli momenti di verità che fanno la differenza tra un film romantico generico e una storia che resta. La sua regia è al servizio della narrazione, senza effetti inutili o estetismi vuoti.
La sceneggiatura firmata da Amina Grenci e Teresa Fraioli è un altro grande punto di forza: i dialoghi sembrano nati da conversazioni reali, vissute. C’è intelligenza, c’è ironia, c’è la consapevolezza che oggi, per parlare d’amore, bisogna anche parlare di paure, identità, scelte e contraddizioni. Guardando il film, infatti, sembra di essere al fianco del protagonista, vivendo le sue emozioni nelle ossa, assaporando le sue lacrime e sentendo ribollire nelle vene la sua stessa rabbia che non riesce a controllare.
Il film apre le porte a grandi temi, ma anche a quei piccoli pensieri che tutti noi abbiamo nella testa: “perchè nessuno ci capisce?”, “troverò mai qualcuno con cui condividere i miei progetti?”, “mio padre mi sta addosso”, “devo mostrare sempre il lato migliore di me, altrimenti nessuno mi accetterà”. Tante piccole frasi che si snocciolano tra i personaggi. Menzione d’onore per l’interpretazione di Francesco Colella che riesce ad abbracciare il tema del lutto con un tatto, un amore e una delicatezza fuori dal comune. Regalando a tutti noi un padre uomo che sbaglia e chiede scusa, andando a scardinare – finalmente – il macismo tossico a cui siamo abituati.
Conclusione
Il titolo non è solo un gioco di parole: “L’amore, in teoria” è una dichiarazione di intenti. Il film mette al centro proprio il divario tra ciò che immaginiamo e ciò che viviamo. Tra la proiezione idealizzata di un sentimento e la realtà, spesso imperfetta, incerta, ma potenzialmente più autentica.
Il regista ci racconta come l’amore si scontri, oggi più che mai, con un mondo in cui tutto è fluido: relazioni, identità, desideri. In questa instabilità, trovare un centro — e trovarlo dentro sé stessi — diventa la sfida più importante.
“L’amore, in teoria” è una commedia romantica matura, intensa, e sorprendentemente onesta, capace di catturare le sfumature emotive di una generazione che non ha più modelli sentimentali solidi a cui aggrapparsi.
È un film che lascia il segno non tanto per quello che accade, ma per come riesce a farci sentire. Non pretende di insegnare nulla, ma ci accompagna per mano attraverso una storia dolceamara, che potrebbe appartenere a ciascuno di noi.