Pietro Falco

Venerdì 7 marzo, Pietro Falco è tornato con “PAGLIACCI”, un singolo che scava nel disagio di una generazione intrappolata tra insicurezze, precarietà e relazioni complicate. Con una scrittura intensa e diretta, l’artista porta alla luce un tema universale: il bisogno di connessione in un’epoca in cui lasciarsi andare è sempre più difficile. Il brano nasce da un episodio significativo: una cena tra amici in cui la frase più ricorrente era “Il mio psicologo mi ha detto…”. Da quel momento prende vita un flusso di immagini e riflessioni profonde su una generazione sospesa tra auto-sabotaggio e ricerca di equilibrio.

Nel testo, Pietro racconta con lucidità questa dinamica: “Siamo solo dei pagliacci in questo immenso circo a cielo aperto”. Paura di affezionarsi, difficoltà nel costruire legami autentici, la necessità di proteggersi dietro uno schermo: PAGLIACCI dà voce a una realtà in cui il contatto umano diventa sempre più sfuggente. “Meglio scriversi oppure chiamarsi, che incontrarsi, emozionarsi senza schermi”, canta l’artista, dipingendo un mondo fatto di schermate blu, notifiche e silenzi.

Con PAGLIACCI, Pietro Falco firma un pezzo capace di lasciare il segno: un grido di chi cerca risposte nel caos, senza smettere di interrogarsi. Un brano che parla a tutti coloro che, tra sogni, paure e contraddizioni, continuano a cercare un senso nel rumore della propria epoca.

Abbiamo avuto la possibilità di intervistare questo artista e vediamo insieme cosa ci ha detto!

Pietro Falco

“PAGLIACCI” nasce da una cena tra amici e da una riflessione collettiva. Quanto di personale c’è in questo brano e quanto invece rappresenta una voce generazionale?

«Negli ultimi anni ho cambiato un po’ il mio approccio alla scrittura. Cerco di scrivere le cose che vedo in modo sicuramente più oggettivo rispetto al passato. Sono figlio del mio tempo e faccio parte di questa generazione, per cui c’è sempre un po’ di me anche nelle storie degli altri».

Nel testo parli di una generazione intrappolata tra insicurezze e difficoltà nelle relazioni. Qual è il messaggio principale che vuoi trasmettere con questa canzone?

«Vorrei che fossimo tutti più connessi, ma nel vero senso del termine. Siamo una generazione di disillusi, piena di paure e insicurezze dettate dal nostro contesto storico. Coloro che sono venuti prima di noi pensavano di farci del bene mettendoci tutto a disposizione, ma questo ha creato tanta confusione e insoddisfazione. Sembra ci sia questo strano bisogno di auto-sabotaggio cercando complicazioni anche quando non ci sono».

La frase “Meglio scriversi oppure chiamarsi, che incontrarsi, emozionarsi senza schermi” fotografa perfettamente l’era digitale. Pensi che la tecnologia ci abbia reso più distanti o semplicemente ha trasformato il modo in cui ci connettiamo?

«Io non sono contro la tecnologia, però mi piacerebbe che le persone tornassero a parlare, ascoltare, toccare, sentire. Lo schermo ha annichilito anche quel minimo di sensibilità necessaria per non fare del male agli altri. Siamo diventati molto più pigri e meno intraprendenti, poiché abbiamo sempre tutto a portata di mano, anche le persone, e quindi anche l’interesse a conoscere, coltivare una relazione tende a svanire, purtroppo. Davanti alla prima difficoltà, alla prima incomprensione… ‘Avanti il/la prossimo/a!’».

Musicalmente, PAGLIACCI ha un sound che accompagna e amplifica il messaggio del testo. Come hai lavorato alla produzione del brano per trasmettere al meglio queste emozioni?

«La produzione sintetizza un po’ quello che troverete nel disco. Molti riferimenti alla black music, con basso e batteria molto presenti. In questo brano, in particolare, ho lasciato le strofe abbastanza spoglie per dare maggiore spazio alla voce, quindi al testo. Ovviamente non ho saputo fare a meno di piazzare un assolo di chitarra anche qui!».

Il tuo stile di scrittura è molto diretto e intenso. Quali sono le tue principali influenze musicali e letterarie?

«Ho attraversato diverse fasi, sia come ascoltatore che come lettore. A livello musicale ho sempre ascoltato rock, blues e funk, ma anche i cantautori. Tra le mie influenze, parlando degli artisti italiani, ci sono sicuramente Daniele Silvestri, Max Gazzè, Alex Britti, Federico Zampaglione e Vasco Rossi, di cui ho sempre amato il modo diretto in cui le sue parole arrivano al cuore delle persone. Nella mia prima fase artistica tendevo ad essere più poetico, ma non è una caratteristica che mi appartiene. Sono una persona che nelle conversazioni cerca sempre di arrivare al punto della questione. Per quanto riguarda la letteratura, ho avuto la fortuna di avere un padre che era un professore di Lettere, quindi già da bambino mi parlava di scrittori e poeti. Amo i c.d. “poeti maledetti”, l’esistenzialismo e filosofi come Sartre».

Qual è stato il momento in cui hai capito che la musica sarebbe stata il tuo mezzo di espressione principale?

«Quando ho scoperto che attraverso la musica avrei potuto esprimere ciò che sentivo dentro di me. Ovviamente da musicista mi sono soffermato, e continuo a farlo, moltissimo sull’aspetto tecnico. Come cantautore, invece, mi lascio vivere. Cerco sempre di assecondarmi e abbandonarmi al periodo che vivo».

Il titolo PAGLIACCI richiama il concetto di maschera e finzione. Ti sei mai sentito costretto a indossarne una nel mondo della musica o nella vita di tutti i giorni?

«Ti risponderei di no, ma direi una bugia. Purtroppo tutti dobbiamo farlo e non per cattiveria, ma per necessità e sopravvivenza. Non viviamo in una favola e i mostri che siamo chiamati ad affrontare, talvolta, ci costringono a preservare parti di noi stessi e a non scoprirai del tutto».

Quali sono i tuoi progetti dopo PAGLIACCI? Possiamo aspettarci un album o un EP a breve?

«Ho pubblicato quattro singoli, adesso è arrivato il momento del disco!».

C’è un artista con cui sogni di collaborare in futuro?

«Tantissimi, troppi. Vorrei collaborare con tutti gli artisti che mi piacciono. Ho già avuto la fortuna di lavorare con uno dei miei più grandi riferimenti artistici. Incrocio le dita per il futuro…».

Se dovessi descrivere il tuo percorso musicale con una parola, quale sarebbe e perché?

«Travagliato. Nonostante la mia totale devozione alla Musica, ci sono stati dei periodi in cui ho dovuto coltivare altre cose, dedicarmi ad altre questioni, non proprio piacevoli, a cui la vita mi ha sottoposto. Grazie per questa bella intervista. A presto!».

di Sissy

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