Il pubblico mainstream lo ha conosciuto grazie alla sua vittoria a “LOL – Talent Show”. Loris Fabiani ha portato la sua folle recitazione sul palco del talent di Prime Video per poi approdare nel vivo dell’azione diventando a tutti gli effetti uno dei concorrenti in gara del programma di uno dei programmi di punta delle piattaforma. Durante le riprese, l’attore comico, si è confrontato con mostri sacri della comicità italiana e adesso è tornano negli spazi a cui è più particolarmente affine: il teatro.
Lo abbiamo, infatti, incontrato in occasione del suo spettacolo teatrale che si è tenuto a Spazio Rossellini lo scorso 20 maggio. Le risate date dalle sue battute, però, ci hanno ulteriormente smosso la voglia di conoscere un po’ di più la personalità che si muove tra le quinte sceniche.
“Quid Ridet” non è differente da ciò che abbiamo avuto modo di vedere attraverso le riprese di Prime Video, al contrario è la massima espressione di quel potenziale che avevamo semplicemente avuto modo di saggiare. Si tratta a tutti gli effetti di uno spettacolo “interattivo” in cui il pubblico non è semplicemente un passivo componente, ma ne è parte attiva. Quindi non siate timidi e fatevi poggiare le mani infatti da questo durante questo esplosivo spettacolo.

Quanta realtà e quanta finzione c’è dietro la maschera di Lunanzio? Dove finisce e inizia la follia di Loris e incomincia quella del personaggio.
«Lunanzio è un personaggio finto. Ovviamente la finzione è quella della F maiuscola, quella barocca. Sulla Definizione di Wikipedia di barocco la trovi questa cosa, quindi quanta verità c’è partendo dal concetto di fare finta? Tutta la verità possibile… È vero che sto facendo quella cosa, OK? È vero che esiste Agnese? No, ma è vero che sto corteggiando Agnese per gioco o teatralmente.
Sapete che in francese e in inglese recitare si dice, rispettivamente, jue e play che tradotti nella nostra lingua equivalgono al “giocare”. Quindi per gioco, quanta verità c’è dietro la maschera? Tutta!
Si vede che mi sono messo un fondo tinta, mi sono messo i vestiti di scena, però il cervello di chi guarda vede Lunanzio, non Loris.
I nostri cervelli sono in grado di donarmi un’altra identità rispetto alla mia e chi guarda accetta questo gioco. Una volta che mi sono Lunanzizzato esiste solo lui».
La domanda che sorge adesso è: chi è Loris e quando è nato Lunanzio?
«Loris è un attore di prosa che ha fatto l’Accademia Nazionale d’arte drammatica Silvia D’Amico a Roma, che ha lavorato nei teatri nazionali in diverse tournée facendo il lavoro da scritturato. Tanto Shakespeare, così come Goldoni che a me piace tanto, ma anche opere contemporanee.
Parallelamente ho sempre avuto dei miei progetti personali quali: Lunanzio, il cinema, il teatro. Quindi nel piccolo, pian piano tra i diversi progetti che andavano avanti, con Lunanzio ho avuto le occasioni di fare laboratori di cabaret e di entrare in certi giri, tanto da essere notato dai dagli scout di “Lol Talent Show”. Insomma, quindi nasce “ufficialmente nel 2006”, ma dipende da cosa si intende con ufficialmente. Perchè quella è la data in cui è nato nel mio piccolo, ma si può decretare il suo debutto ufficiale con il talent».
Per poter portare alla luce un progetto del genere esiste, sicuramente, un processo creativo molto intenso… puoi raccontarcelo?
«Sì, tra l’altro Lunanzio in passato era anche diverso… faceva cose più teatrali. Teatro comico ovviamente, ma non era l’avventuriero che è oggi o lo spaccone che adesso sta maturando. Nel corso del tempo è diventato più irruento, più maleducato. All’inizio, si presentava come un innamorato timido di fronte all’amore. Poi… beh, direi che è cresciuto, quindi non è più timido quantomeno».
Quindi come vive la diatriba tra l’amore cortese per Agnese e invece quello più carnale per Mildred?
«L’amore sacro e l’amor profano… quindi con chi finisce a giacere in Lech Lunanzio? Mildred. Con chi non riuscirà mai a finire in Lech?Agnese!
Se chi scelgo per incarnare Agnese, durante un live, mi risponde di sì… com’è successo a Roma, all’inizio gli parte la testa, perché pensa di non poter avere Agnese… altrimenti viene uccisa tutta la letteratura cavalleresca».

Avvicinarsi così tanto al pubblico, con questo gioco di fisicità, invadendo lo spazio dello spettatore pensiamo che sia complicato. Come riesci a essere così tanto fisico?
«È stato complicato all’inizio, ma adesso col fatto che son passati tanti anni ho preso l’abitudine. A me piace stare in platea durante i miei format, quindi mi è davvero spontaneo farlo, ma le prime volte è stato come il primo passo sulla luna. Pensi “io voglio scendere, voglio toccare uno del pubblico, come farlo?” Non devi risultare invadente, non devi mettere in imbarazzo il pubblico. Di fatto, credo che adesso per me è immediato e la modalità viene capita. Stiamo giocando tutti a fare gli amici di Lunanzio, anche se per lui non sta giocando nessuno. Sul finale viene detto “toccami… io sono qui in carne ed ossa, eppure non esisto”. È bello dire sta cosa no?».
Tornando su “LOL – Talent Show”, passando poi all’esperienza stessa di LOL, cosa ti sei portato da quell’esperienza? Se col talent sembravi quello in grado di non ridere, con la gara sei stato messo a dura prova…
«Eh direi… lì lavora sempre molto il contesto. In un teatro, con dei colleghi partecipanti di un talent, Lunanzio e gli altri erano “letti” come allo stesso livello. Ovvero, giustamente il codice di quel contesto “era diamo il nostro meglio per farvi ridere”. Lì ho vissuto la grande emozione di ricevere un grande riscontro positivo per quello che faccio.
Su LOL, il contesto cambia e cambiano anche le teste che ci sono in gioco. Avevo a che fare con un cast molto bello l’altro e veramente non sapevo che ci sarebbe stato. Tengono i camerini separati, controllano gli ingressi. In ogni caso, quando il comico è così importante lavora anche sul suo bagaglio. Tu vedi Panariello e, non appena apre bocca, hai tutto il suo vocabolario comico. Io non avevo un vocabolario comico per loro, ovviamente. Quindi è stata molto dura.
Cosa ho imparato? Ho sentito tanto questa cosa, no?
Quindi come Loris me la sono giocata in modo molto tranquillo, ho fatto il mio, ma anche lì… Loro di Lunanzio non avevano ancora i codici comici. Anche quando abbiamo registrato, non sapevano che cosa avrei davvero potuto fare. Quindi, quando un comico ancora non ha questa “lettura” da chi lo guarda tutto parte da zero. È stato un bel Vietnam. Sono stato accolto molto bene».

Cosa ti porti, invece, dal tuo primo live a Roma?
«Quella sera dimostra quanto sia bello. Chi è venuto per vedermi, lo ha fatto perchè mi conosce e vuole vedere come porto avanti questo progetto. Possiede già il codice e ti compiaci nel rivedere quello che ti aspetti, ma anche di vedere le battute nuove. Cioè il pubblico ti sostiene, perché già ti conosce e da lì in poi tocca a me. Devo dare nuove battute, nuove storie, nuovi personaggi nuovi».
Proprio dal punto di vista della scrittura come strutturi quello che, a tutti gli effetti, può sembrare un monologo, ma che non lo è? Come prevedi l’interazione col pubblico?
«Sì, essendo una cosa barocca come scrittura è scritta in versi, quindi in modo molto ordinato. Io lo scrivo a rallenty e lo agisco in modo caotico e veloce. Però è preparato tutto con righello col bisturi. La memoria è molto precisa è un monologo inversi lunghissimo scritto su carta. L’esercizio è prevedere le interazioni col pubblico, è il cervello mio che si prepara per Lunanzio. Io non so se lui un cervello lo abbia, non abbiamo le prove, non è mai stato in ospedale a farsi una TAC.
Quello che faccio io è lavorare su due piste. La memoria è molto precisa e deve stare pronta a creare un cut, aprire una finestra tra un verso e l’altro di improvvisazione. Tenere a mente e poi ritornare a quel punto lì, per andare avanti. Se sei confident con questo metodo aiuta di più a improvvisare in maniera folle, perché hai un riferimento molto chiaro, è come avere la riva e il mare. Quando ti tuffi e tutto libero, poi torni a riva».
Come ti vivi la fine di un tuo spettacolo? Cosa ne resta a te?
«Eh resta la sensazione di avere incontrato qualcuno. Te la metto un po’ poetica. Dato che durante tutto il live si crea teatralmente una confidenza col pubblico, alla fine non penso a quale battute è andata bene, quale è andata male. Quelle cambiano di spettacolo in spettacolo. Resta chi ho incontrato. Mi ricordo chi ha fatto Agnese, chi Mildred. Quindi la sensazione è come aver conosciuto qualcuno ha una festa, cioè ha un evento particolare».

Come vivi il confronto anche tra televisione, teatro e cinema? Quale palco effettivamente senti un po’ più a casa tua?
«Allora io, che mi piaccia o no, sono teatrale live. L’approdo televisivo è totalmente una cosa nuova per Lunanzio e spero che possa servire a portare la gente a incontrarmi il più possibile live. Lunanzio, però, è pronto ai possibili risvolti televisivi. Lo è anche Loris, anche se è qualcosa su cui vedo meno il tipo di modalità che potrei avere. Mentre a livello teatrale ho già molto chiaro il tipo di modalità che voglio proporre, cioè che è quello che il pubblico ha visto a Spazio Rossellini. Per quanto riguarda il cinema ho avuto piccole esperienze e devo riaprire se riuscirò a rientrarci. Sul cinema sono molto paziente. Io, giocoforza, sono teatrale».
Quanto è complicato riuscire a gestire una lingua che è totalmente una tua creazione?
«Allora, dopo anni ormai, è come quando uno si appassiona o si innamora. Una disciplina, chi non è innamorato di quella disciplina sembra una cosa difficilissima da fare. Difficile, ma non come sembra. Semplicemente perché ci ho messo la testa sentendo il linguaggio di Alfieri e di Goldoni. È difficile solo cercare di ficcarci dentro le battute più moderne, in realtà, perché è un linguaggio senza battute.
Diciamo che ormai ho capito il giochino che voglio farci, lo abbellisco e via, ma poi c’è libertà da quando è diventato cabaret di metterci glovotot o altri riferimenti. Il concetto di base resta il barocco, al tempo non avevano gli effetti speciali dei film. Gli effetti speciali erano come riuscivano ad abbellire la frase, infatti prendono delle libertà poetiche incredibili. Poi adesso è noioso andare a leggere Alfieri, cioè però se ti appassioni è bello vedere come mette gli apostrofi, o cambia le parole. Le inventavano come io invento i brutti di bosco. Quindi il barocco diventa un mix al deve suonare bene, quindi è una questione puramente estetica, acustica. Una volta che suona bene, scegli il giochino di parole che ci sta meglio».
Noi speriamo che siate arrivati al termine di questa lunghissima chiacchierata. Ci siamo divertiti a parlare con Loris Fabiani e abbiamo trovato molto interessanti i suoi processi creativi. Vi consigliamo di raggiungerlo a teatro e di godervi questa folle esperienza per poter vivere un’avventura al fianco di questo prode cavaliere.