Arrivato nelle sale italiane il 16 gennaio, “Wolf Man” rivisita i dettami di uno dei principali archetipi della cinematografia horror: la licantropia. Leigh Whannell, attraverso la regia, descrive una metafora del periodo pandemico. Lui stesso, nelle note di regia, ha sottolineato quanto si sia lasciato ispirare dal 2020-2023. Un periodo storico in cui il male era sia esterno che interno, dalla quale l’unico rifugio era la paura del prossimo.
Blake (Christopher Abbott) è un padre di famiglia disoccupato, impiega il suo tempo prendendosi cura della figlia. La moglie, Charlotte (Julia Garner), è una donna in carriera che teme di esser anaffettiva nei riguardi della figlia. Dopo aver ricevuto la conferma della morte del padre, Blake convince la moglie a passare del tempo nella casa della sua infanzia. Una dimora situata nel cuore dei boschi dell’Oregon in cui l’isolamento la fa da padrone.
Blake ha quasi dimenticato quando insicure fossero quelle zone. Non ricordava quanto necessarie fossero le regole che il padre gli aveva imposto durante la sua crescita. Eppure, nel momento in cui il loro viaggio sembra esser giunto a meta, il pericolo si abbatte sul nucleo familiare. Poco prima di arrivare alla casa d’infanzia, l’uomo sbanda col furgone che stava guidando perché sulla strada vi è una strana presenza. Quando sembrano esser in salvo, però, i tre si renderanno presto conto di esser braccati da qualcosa di strano e inumano.
![Wolf Man](https://i0.wp.com/www.lapiziaviewsmagazine.it/wp-content/uploads/2025/01/copertine-articoli-6.png?resize=640%2C336&ssl=1)
Piuttosto rapidamente, ci si può rende conto di come la licantropia sia una sorta di “malattia” facilmente trasmissibile. Deforma l’uomo, lo fa regredire a uno stadio animale e brutale. Blake, fin dal primo incontro col licantropo, viene contagiato a causa di un graffio e la sua trasformazione diventa repentina. Ciò che lo spettatore ha davanti, di conseguenza, è una sorta di body horror che ricorda una trasformazione simile a quella de “La Mosca”: dalla perdita dei denti alla modifica corporea completa.
Se da un parte, quindi, abbiamo l’uomo di casa che si sta lentamente trasformando; dall’altra parte la famiglia è braccata da questa animalesca presenza. Uno scontro, come presto ci si renderà conto, che è quasi generazionale. Un simbolismo nei riguardi della cultura patriarcale, rappresentata proprio dal licantropo che da loro la caccia, che si scontra con la voglia di protezione e di contrasto nei riguardi dei propri istinti. Del resto, questi elementi sono rintracciabili proprio nel ruolo stesso che Blake ricopre all’interno del nucleo familiare: un uomo casalingo che si prende cura del focolare. Una contrapposizione decisamente fin troppo netta all’educazione che ha avuto, basti pensare alle scene del prologo.
![Wolf Man](https://i0.wp.com/www.lapiziaviewsmagazine.it/wp-content/uploads/2025/01/copertine-articoli-7.png?resize=640%2C336&ssl=1)
La breve durata gioca un punto a favore di questo film. Nei suoi soli 103 minuti riesce a condensare tutti i singoli elementi narrativi. Le tempistiche del racconto, in questo modo, risultano rapide e condensate, ma non possiamo illuderci: il film è comunque lento. Non vi negheremo che abbiamo faticato, in alcuni momenti, a prestare realmente attenzione a ciò che stava accadendo sullo schermo. Il tempo di visione percepito va di gran lunga oltre all’ora e mezza. Il che è un peccato perché fa risultare l’intero film come uno spreco di potenziale. Vi era del potenziale visivo, tanto quanto quello interpretativo (specie se si tiene conto del cast). I momenti di tensione, in questo modo, risultano piatti e non pienamente coinvolgenti. Non si viene neanche emotivamente coinvolti nel dramma che si sta abbattendo su questa famiglia. Vi è della vacuità.
Leigh Whannell non è nuovo nel cercare di rimescolare i dettami di alcuni classici dell’horror. Va, infatti, ricordato che lui è il regista del remake de “L’uomo invisibile”, ma pensiamo che gli “errori” commessi siano paragonabili. Nella riscrittura di questi capostipiti, nonostante li si voglia leggere secondo dettami ed eventi moderni, si perde parte del loro sapore. L’uomo lupo, o mannaro, o in qualsiasi altra rivisitazione ha sempre avuto il compito di spingere l’uomo a lottare contro i propri istinti primordiali. La brutalità che si contra col sentimento. Una caratteristica che ritroviamo anche qui, ma che sopperisce davanti al contagio e all’isolamento. Gli elementi preponderanti sono proprio questi, intenzionali o meno, ma rendono estremamente carente la narrazione.